Tempo fa ci illusero con la promessa di abolire tutte le province. Ritenute dai cittadini carrozzoni burocratici intermedi fra i già famelici comuni e regioni, per non parlare dello Stato, finalmente sembrava che qualcuno nell’alto dei cieli della politica una volta tanto volesse fare sul serio. Ovviamente, all’italiana, non solo non si abolirono le già troppo numerose province, ma se ne istituirono decine di nuove, predisponendo poltrone e occasioni di lucro per mediocri politici locali. Siamo abituati al concetto che da noi amministrazione è sinonimo di corruzione. Unica novità fu la istituzione delle aree metropolitane intorno alla Capitale a alle grandi città del paese, abolendo solo quelle di province, ma con la illusione di avvicinarci per la organizzazione metropolitana alle grandi capitali e città europee. Per il momento, specie per i servizi pubblici di trasporto, igiene e sicurezza, Roma è rimasta in bilico fra una città balcanica e una nordafricana. Comunque, almeno noi inglobati nell’area metropolitana romana eravamo in attesa di vedere a medio termine qualche vantaggio, almeno a livello di mobilità e magari solo di strade con meno buche. Ecco, tuttavia, un bel gruppetto di famelici politicanti locali a escogitare la idea di trasformarci nella ennesima provincia con autonomie limitate, ma pur sempre vantaggiose, in termini di appalti e relativo lucro, unito al lustro di occupare poltrone e strapuntini nel neonato ente locale come “porta di Roma”. Andrebbe da Fiumicino con l’hub aeroportuale a Civitavecchia, ormai ritenuta il porto naturale della capitale come il Pireo per Atene. Pare che gli aspiranti ad occupare poltrone e iniziare i soliti giochi siano abbastanza numerosi ed accaniti. Ovvio che di sondare il parere dei cittadini non se ne parla. Costoro del resto solo tardivamente capirebbero il “rincaro”, magari con addizionali regionali sui sudati redditi e complicazioni burocratiche nuove, come se non bastassero quelle che già abbiamo. Del resto la delusione di fronte alle amministrazioni periferiche e centrali si è manifestata, purtroppo sbagliando, con una crescente fuga dalle urne in occasione di elezioni locali e generali, facilitando ancor più la casta impenitente dei nostri politici di destra e di sinistra, senza troppe distinzioni essendo tutti uguali nel promettere mari e monti in campagna elettorale, per disattendere un’ora dopo la conquista delle poltrone tutte le fanfaronate spacciate per cambiamenti epocali della nostra miserabile politica. La “Porta di Roma” si manifesterebbe subito come una porta sbattuta in faccia alla capitale. Non che Roma non meriti disprezzo per com’è gestita, ma la città perderebbe le sue aree migliori a nordovest, mentre si è sempre notato che a sudest assomiglia sempre più a un sobborgo del profondo meridione che sta affogando nel mare nostrum diventato il mare degli altri. Dagli etruschi se non altro abbiamo ereditato un certo rispetto per le città dei morti, lasciando quelle dei vivi nel degrado, ma eccellendo almeno, con enormi disagi per i cittadini, nella raccolta e nel riciclaggio dei rifiuti, mentre ancora sopravvivono oasi naturalistiche, le quali, riminizzando il litorale, si troverebbero strozzate fra campeggi per roulottari e pompe di benzina. Civitavecchia, come è immaginabile, si sentirebbe “nuova” come tronfio capoluogo di provincia, con tutti i nessi e connessi relativi alle sedi istituzionali, in mano ad assessorati affamati di poteri locali. Insomma, la nuova provincia che fa tanta gola ai vari capetti che da anni fanno il bello e soprattutto il cattivo tempo nelle nostre zone, è da un po’ di tempo al centro di accesi dibattiti. Speriamo che le autorità che dovranno autorizzare la creazione della “porta di Roma” con relativi stipiti e chiavistelli, boccino il progetto o, se passa, lo sottopongano ad un referendum popolare, anche se i nostri cari concittadini, ormai non credendo più a nulla, forse resterebbero purtroppo indifferenti.
Umberto Mantaut