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Un microbo di nome Adamo

Ragionando in termini di tempo cosmico, circa un nanosecondo fa l’umanità, di fronte all’evidenza, ha accettato l’idea che la Terra non sia piatta e sconfinata. Riguardo al sole, no si capiva bene come potesse, dopo averla ossequiata e fecondata, tornare indietro dal Far West all’Estremo Oriente durante una sola notte. Nessuno osò immaginare un treno sotterraneo ad alta velocità, tipo metrò, fra i due capolinea. Cervelli di coccio! Chi disse “eppur si muove” rischiò di essere arrostito come eretico. La religione ha del resto sempre sostenuto il mito di Adamo, creato dando vita a un fantoccio di argilla. Non ci si rendeva conto di essere sommamente blasfemi nell’immaginare un Creatore a baloccarsi con il fango per creare un pupazzo di terracotta. Lo Stesso poi, vedendo Adamo triste e solo, non sappiamo se con anestesia locale o totale, gli avrebbe estratto una costola per creare Eva. Di fatto un Dio più artistico, come coloro che fanno belle statuine d’osso o di avorio. Infatti, Eva risultò davvero più belloccia. I due senza impegni e dotati di reddito di cittadinanza, nel paradiso terrestre stupendo ma privo di svaghi, inventarono giochetti dai quali saltarono fuori Caino e Abele e iniziarono i guai. Delle sorelline non si parla da nessuna parte, ma devono essere venute al mondo e i primi accoppiamenti non si citano essendo incestuosi di sicuro. Alla fine siamo qui a inquinare il pianeta in diversi miliardi di individui di fratellini litigiosi e sorelline nevrotiche, diversamente abbronzati per la differente esposizione al sole fra la Svezia e la Nigeria. Non vogliamo capire che il nostro Mondo, che davvero non merita la maiuscola, è un granello di sabbia nello sconfinato arenile della nostra galassia e sua volta piccola fra altri enormi ammassi di soli con i loro pianeti e satelliti. Si pensa pure che l’universo abbia un gemello, una specie di immagine speculare o antiuniverso. Chissà. Che la vita sia un prodigio e che un Essere superiore l’abbia concepita non dovrebbero esserci dubbi. Ma bisogna tornare al fango. In quell’ambiente umido e primordiale si organizzarono inizialmente delle molecole complesse e capaci di replicarsi fino a formare “corpi” unicellulari. La evoluzione partì dai batteri, creature molto più fortunate di noi, in quanto eterne. Infatti Dio volle creature a sua immagine e somiglianza. La loro eternità è legata alla loro forma di riproduzione per scissione diretta o per gemmazione. In parole povere un individuo rigenera semplicemente sé stesso per non sparire, dividendosi in due o generando un bitorzolo capace di radicare, come fanno i fichi d’India. La parte scissa riproduce un individuo assolutamente simile al genitore unico. Il guaio, che si chiama morte, sopravvenne quando, con l’evoluzione, comparvero sulla madre Terra gli esseri superiori, vegetali e animali che, abbandonato il vecchio metodo riproduttivo, che in un certo modo assicurava l’eternità, si affidarono al dimorfismo sessuale. Per generare un essere nuovo occorrono un genitore uno e un genitore due. Il figlio, pur avendo qualcosa di entrambi i genitori, è un essere assolutamente diverso ed unico, già condannato a morte nel momento stesso in cui viene alla luce. Non era meglio rimanere allo stadio di batteri? Quando si parla di forme di vita su altri pianeti, prima di fantasticare su alieni simili a noi o assai superiori, però fragili, tanto da sfracellarsi se precipita il loro disco volante, ci basterebbe scoprire organismi in grado di muoversi, nutrirsi e riprodursi, i tre verbi che usiamo per indicare gli esseri viventi più diffusi e resistenti. Tutte le religioni invitano i fedeli ad avvicinarsi il più possibile al Creatore, anzi desiderare di tornare presto al suo cospetto “puri e disposti a salire alle stelle” e ricordandoci che siamo polvere e polvere ritorneremo. Se piove la polvere diventa fango e l’uomo ha la possibilità di tornare un microbo immortale. Se è donna diventa “microba”, così le femministe rese finalmente  eterne sarebbero contente. Non capiscono che gli Adamini unicellulari saprebbero riprodursi autonomamente e non piangerebbero per la solitudine, sicché le Evite canterebbero invano “Don’t cry for me”. 

Umberto Mantaut  

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