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Teotihuacan

Il prefisso “Teo” favorisce facili associazioni d’idee, tanto più che per molto tempo storiografi e archeologi hanno creduto che Teotihuacán fosse solo una “Città degli Dei”. Alcuni autori, accusati di esporre teorie del tutto fantasiose, avanzano l’ipotesi che il mondo mesoamericano abbia avuto contatti remotissimi con le civiltà mediterranee, fenicia, egizia e greca. Del resto è difficile dar loro torto trovando nella valle di Anahuac una profusione di piramidi, fregi, statue ed enormi complessi di templi dotati di strutture e decorazioni classicheggianti. Teotihuacán, fra il 100 a.C. e il 750 d.C., si sviluppò e visse come una Roma precolombiana, raggiungendo i 125.000 abitanti. Il suo impero non vasto era comunque tale da influenzare i costumi e le culture di altri popoli della regione. La città non era solo un grande centro di culto, bensì rappresentava il crocevia di importanti rotte commerciali, possedeva una classe dirigente illuminata e capace di pianificare un complesso urbano di straordinaria regolarità e di altissimo significato mistico. Ancora oggi, salendo faticosamente sulla sommità delle due grandi piramidi del Sole e della Luna, si rimane impressionati dalla grandiosa prospettiva del Viale dei Morti, l’arteria che attraversava il centro della metropoli antica che occupava un quadrilatero di 6 km da nord a sud e 5 km da est a ovest, una superficie maggiore della capitale dell’impero romano nella stessa epoca. Nella “Ciudadela”, verso sud, il Tempio del Serpente Piumato, Quetzalcóatl per gli aztechi, ha una facciata riccamente decorata e una scalinata con teste di serpente e penne stilizzate, come ornamenti di copricapi sacerdotali. Pare che il sito sia stato teatro di sacrifici umani con inumazioni rituali, poiché, alla base della piramide, sono stati trovati 120 scheletri disposti in simmetria e con le mani legate dietro la schiena. La fine dell’impero di Teotihuacán è avvolta nel mistero, ma è presumibile che un popolo colto, ricco e civile, più dedito a pratiche religiose che belliche, abbia suscitato l’invidia e la bramosia dei vicini, meno evoluti, ma più aggressivi, paragonabili ai barbari nostrani. Tuttavia, per molto tempo il centro della città, sebbene in rovina, ha continuato ad essere meta di pellegrinaggi e luogo di meditazione. Si narra che l’ultimo re degli Aztechi, Montezuma II, avesse l’abitudine di recarsi a pregare a Teotihuacán, ma la sua fede in Quetzalcóatl non lo preservò dalla sventura e l’illusione di vederlo tornare da oriente nell’anno fatidico 1519, con le sembianze di una creatura alata, gli fu fatale. L’altra divinità adorata dagli antichi abitanti della Terra fra le Due Acque era Tlalóc, dio della pioggia, dispensatore di abbondanti raccolti di mais, pianta essenziale per l’alimentazione degli indigeni. Il paradiso di Tlalóc è mirabilmente rappresentano in un famoso affresco nella residenza di un sacerdote, nota come Palazzo Teplantitla, ma Teotihuacán era evidentemente il centro del culto del sole e della luna.  La Piramide del Sole, costruita circa 2.000 anni fa, impiegando tre milioni di metri cubi di pietre e mattoni, base 220 x 225 m., altezza 74 m., è solo di poco meno maestosa della piramide di Cholula e di quella famosissima di Cheope al Cairo. La Piramide della Luna, all’estremità nord del Viale dei Morti, è più piccola, ma molto aggraziata. Fu costruita nel 300 d. C. sulla stessa piazza dove si trova il Palazzo della Farfalla Quetzal, detto Palacio del Quetzalpapálotl. Con questa descrizione non stupisce il fatto che questo incredibile sito archeologico sia oggetto di totale protezione da parte dell’UNESCO fin dal 1987. Dopo la visita dell’impressionante complesso di Teotihuacán si prosegue verso nord, entrando nella regione dell’Hidalgo e nelle terre che videro fiorire la cultura dei Toltechi. La loro capitale, Tula, fra il 900 e il 1150 d. C., fu il centro del culto della Stella del Mattino, Venere, nata in seguito all’ascesa al cielo di Quetzalcóatl, secondo una leggenda che non concorda con l’esilio su una zattera diretta ad oriente, come credevano gli aztechi. A Tula, la grande piramide o Tempio di Tlahuizcalpantecuhtli ha sulla sua sommità quattro Atlanti alti ognuno 4,50 m., più conosciuti come i giganti di Tula, che sorreggevano il tetto del tempio insieme ad una serie di colonne. Queste enormi figure nere dominano un paesaggio brullo che conferisce loro ancor maggiore imponenza e severità. Sulla via del ritorno, abbandonati non senza rimpianto i più imponenti siti archeologici del Nuovo Mondo, si visita una delle cittadine meglio conservate del periodo coloniale, quando questa regione si chiamava Nueva España. Tepotzotlán ha conservato il nome che nella lingua locale náhuatl significava “Il posto del gobbo”, ma è stato un importante centro di diffusione della religione cristiana e della cultura iberica presso le popolazioni indigene, a cura dei Gesuiti. Il gioiello di Tepotzotlán è la magnifica chiesa di San Francisco Xavier, esempio eccellente del tipico barocco messicano, uno stile che ha il nome curioso di “churrigueresco”, sovraccarico, ma ricchissimo, persino lungo i pilastri, detti estípites, terminanti in arditi pinnacoli. Nei pressi della chiesa, nello stesso stile, si ammirano gli edifici del Convento che ospitano il ricco Museo Nazionale del Viceregno. Pur essendo poco lontano dalla caotica capitale messicana, Tepotzotlán è rimasta un esempio di città provinciale coloniale, c’è l’atmosfera della vecchia Castiglia con i colori del tropico. Qui il tempo si è fermato, la gente ama oziare all’ombra degli alberi delle quiete piazzette. Si parla sottovoce, perché con il caldo anche parlare stanca, qualcuno sonnecchia sulla porta di casa protetto da un poncho e dal tipico sombrero. Per vivere s’attende il tramonto, poi si mangia abbondantemente e si fanno le ore piccole sorseggiando il “pulque”, tipica bevanda alcolica locale, la quale, secondo i messicani, è un dono di Tepoztécatl, il dio della fertilità venerato in questo luogo dagli indigeni.

Umberto Mantaut

 

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