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Serengheti – Tanzania

Chi racconta di essere entrato dal Kenya in Tanzania senza passaporto e senza essere fermato non è creduto eppure è vero. Il confine non esiste se si seguono le piste dei Masai, uomini liberi, rossovestiti, agili cacciatori dall’incredibile statura, grandi camminatori e spiriti indomiti. Per taciti accordi fra kenyoti e tanzaniani esistono aree fra i due paesi dell’Africa con un confine delimitato soltanto da rari cippi malamente interrati nella savana. Nessuno li nota. Il viaggiatore abituato alle sbarre di frontiera, alle noie doganali nei porti e negli aeroporti, alle file sulle autostrade internazionali passa allibito da un paese all’altro condividendo la libertà di movimento con gli animali selvatici e gli uomini dei villaggi masai i quali sostengono che il loro passaporto è la tunica rossa e nessuno ha mai osato fermarli nel rispetto della loro tradizione di nomadi africani. Madre Natura, ovviamente, nella sua saggezza non può concepire una cosa insensata come la “frontiera”. Nel silenzio sacro degli altipiani, fra il parco Masai Mara del Kenya e il grande Serengheti della Tanzania, la savana si estende a perdita d’occhio con il suo monotono paesaggio giallastro, punteggiato da acacie scheletriche, con uno sfondo di colline spoglie, rari corsi d’acqua infidi dove i coccodrilli camuffati da tronchi alla deriva attendono gli incauti. In lontananza si scorgono le mandrie di selvatici errabonde e le capanne dei rari villaggi indigeni. L’orizzonte è incerto nella calura tremolante e azzurrina, il cielo s’incurva e i colori si confondono. Una frontiera in simile ambiente è inconcepibile. Mwuezi wa pili significa febbraio nella lingua swahili, ma i Masai hanno un altro idioma. Il mese peggiore del nostro inverno nell’emisfero settentrionale è, al contrario, un mese molto propizio sull’altipiano fra Kenya e Tanzania, non ancora troppo arido, bensì temperato e senza le grandi precipitazioni della stagione delle piogge. Dunque, è il mese migliore per viaggiare in queste regioni che per certi aspetti fanno pensare al mondo dei primordi e al paradiso terrestre perduto. In una mattinata particolarmente serena e calda conviene sconfinare in Tanzania nel Serengheti National Park. Sul limite territoriale, meticolosi topografi hanno conficcato sporadici cippi bianchi di cemento, incongrui e ridicoli monumenti alla stupidità dei burocrati e dei politici. Il Serengheti appare in tutta la sua maestosa e quieta bellezza dall’alto delle dolci colline keniote che segnano il confine. Il parco protetto degrada verso lontanissime pianure oppresse dalla calura tropicale ed è più affollato del parco Masai Mara. Pare che l’erba più bassa e la scarsità di cespugli offrano maggiori garanzie di sicurezza agli erbivori, ma gli animali, in grandi branchi misti, sembrano più pavidi in queste lande immense, dove l’uomo con i suoi Land Rover e le sue cineprese si fa vedere più di rado. Giraffe, antilopi, zebre, gazzelle, struzzi, gnù, cicogne e facoceri fuggono all’unisono velocemente all’approssimarsi dei veicoli a motore. Solo le iene orribili, arruffate e dagli occhi torvi s’azzardano a puntare verso gli intrusi che hanno osato disturbare la loro caccia. Pare che siano più feroci dello stesso leone nell’aggredire le prede. Per nulla intimoriti dalle rimostranze delle iene, ci si ferma a fare colazione all’ombra di un’acacia della febbre gialla, sotto lo sguardo preoccupato di una coppia di cicogne appollaiate sull’artistico tronco di un albero ucciso da un fulmine. Nella stagione delle piogge, annunciata da paurosi temporali, la savana al confine fra i due stati si riveste di erba nuova, una manna per gli erbivori affamati. Sterminate mandrie, soprattutto di gnù, attraversano a testa bassa il teorico confine, dirette al parco keniota. Brucano tutta l’erba e poi ritornano in Tanzania nelle aree di riproduzione, ripercorrendo il cammino contrario verso l’idilliaco Serengheti. Un simile luogo non poteva essere ignorato dall’UNESCO che si preoccupa di rispettare le meraviglie della natura e quelle realizzate dall’uomo in quanto patrimonio dell’umanità intera. Il Serengheti è stato inserito nella lista dei siti africani protetti nel 1981.

Umberto Mantaut

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