San Pietroburgo
Troppo importante e bella non poteva sfuggire all’attenzione dell’UNESCO, protettrice dei patrimoni dell’umanità. Infatti dal 1990 l’intera città è considerata un bene inestimabile da preservare. Per tentare di conoscerla in modo alquanto approfondito bisogna visitarla almeno due volte, in due stagioni estreme differenti e sotto diversi regimi amministrativi. Due diari possono nei loro limiti dare un’idea di una esperienza assolutamente da non perdere.
INVERNO 1981
Sentir parlare di Messina appena giunto in Russia mi pare fuori luogo, ma la cameriera dell’Hotel Leningrad, dopo aver aperto la tenda della grande finestra sul Neva, continua a ripetere “Messina, Messina”, in mezzo a varie frasi in russo. Chissà, forse Messina vuol dire qualcosa in questa lingua. Intanto, la donna indica con insistenza una nave da guerra ancorata proprio di fronte all’albergo. E’ l’incrociatore Aurora, reso innocuo dai ghiacci che gli imprigionano lo scafo e dalla fama che lo ha trasformato in museo galleggiante. La cameriera sconsolata prende la mancia e si ritira con una serie di “spasiba” e “dasvidania”. L’incrociatore è lì sotto nel chiarore incerto dell’alba baltica, perfettamente verniciato e con i cannoni lustrati, le bocche puntate sul Palazzo d’inverno. Da lì è partito il primo colpo che ha dato il segnale per la rivoluzione destinata a cambiare il mondo, almeno questo mondo sovietico di ghiaccio. La Russia immaginata attraverso tante informazioni e letture non sembra a prima vista un altro mondo, bensì un mondo alla rovescia sconvolto da una catastrofe della mente. L’Aeroflot, per cominciare, ha scambiato senza alcun preavviso il giorno con la notte. Il volo da Milano delle tredici è slittato a mezzanotte; invece di arrivare al tramonto ci hanno sbarcati all’alba e a bordo ci hanno servito la cena al levarsi del sole. Le camere ci sono state assegnate alle sette del mattino con un gentile buona notte, “spakoini noci”, mentre la guida puntualissima ed in perfetto italiano assicura che dopo il riposo di un’ora inizierà la visita della città, incominciando dal famoso incrociatore. L’hotel è simile a tanti altri, ma si nota subito che è gestito da personale tutto statale; il lusso è solo apparenza e i dettagli sono mediocri. Ad ogni piano c’è una sorvegliante d’aspetto militaresco che controlla tutti i movimenti degli ospiti da una scrivania situata in posizione strategica. Il gelido fiume è una lastra immobile. Due rompighiaccio tentano di aprire un passaggio per inesistenti battelli. Procedono in senso opposto aprendo due corsie d’acqua, ma poco dietro si nota che il ghiaccio si richiude rendendo inutile l’operazione. File di palazzi muti si affacciano sulle rive sotto un cielo bianco carico di neve, ma la Russia deve essere visitata d’inverno. Finalmente si svela il mistero di “Messina”. La guida ci spiega che l’incrociatore Aurora è stato il primo vascello di soccorso dopo il terribile terremoto-maremoto che ha distrutto la città sullo Stretto all’inizio del secolo. La capitale dell’impero dei Romanov, voluta da Pietro il Grande come tentativo ben riuscito di europeizzare la Russia, non ha perduto quasi nulla del suo fascino e della sua superba bellezza. La città è un miracolo. E’ sorta dal nulla fra le paludi desolanti della foce del fiume Neva con infiniti sacrifici dei lavoratori-schiavi e il taglio d’intere foreste per ottenere milioni di palafitte sulle quali erigere palazzi e cattedrali. San Pietroburgo è bella, bellissima, ma c’è qualcosa di falso e di voluto. Gli architetti, soprattutto gli italiani, hanno fatto molto per creare armonia nella città, ma la fusione fra Parigi, Venezia, Vienna e Amsterdam non è perfettamente riuscita. Ad opere non del tutto ultimate, sono sopraggiunte spaventose rivolte popolari, poi le distruzioni feroci da parte dei tedeschi e, infine, insieme al brutto cambiamento di nome, da San Pietroburgo a Leningrado, una ristrutturazione urbanistica infelice sotto il regime comunista. La visita di Leningrado richiede alcuni giorni, uno dei quali totalmente dedicato all’Ermitage, museo talmente ricco che da solo vale tutto il viaggio. I russi ne sono giustamente fieri, d’altra parte è noto trattarsi del museo più grande del mondo, sistemato nei palazzi della reggia superba degli imperatori di Russia. Tuttavia, non si può descrivere la città senza cadere nei luoghi comuni, così come fanno le guide turistiche, snocciolando elenchi interminabili di date, nomi d’architetti illustri, stili architettonici che s’affiancano e si sovrappongono, dati statistici di regime e altre notizie che distraggono e tolgono poesia alla visita. Bastano alcuni cenni: cento isole, decine di canali, centinaia di ponti, milioni d’abitanti, facciate splendide, colori pastello in contrasto con il bianco degli stucchi e della neve, cupole scure di chiese barocche, cupole d’oro ortodosse, campanili di cattedrali, grattacieli di cemento, grandi stazioni ferroviarie, parchi pieni di betulle, tre linee di sotterranea efficientissima, archi di trionfo, colonnati, tram e battelli, piazze scenografiche e larghissime prospettive, impressionanti per la scarsità di traffico e per i grandi cumuli di neve. Sfuggire al controllo della guida ufficiale assegnata al gruppo turistico fin dallo sbarco in aeroporto non è affatto facile, ma con qualche accorgimento si riesce a trovare un varco fra gli impegni fitti delle visite guidate, dei pasti a orario e il poco tempo lasciato libero per il riposo nelle camere controllate degli hotel. Vicino all’hotel Leningrad c’è la Stazione di Finlandia e sotto la Piazza Lenin si scende in una stazione della linea rossa del metrò che con diciannove fermate collega Konsomolskaia alla Prospettiva Veteranov. Un pomeriggio fuggiamo dall’albergo per un’esplorazione libera della città. Si cambia treno nella stazione Vosstanija-Majakovskaia e si giunge in breve nella bella Prospettiva Nevskij, il cuore di Leningrado. Finalmente, ci si può mescolare con la gente del luogo, entrare nei caffé, sfogliare un libro in una grande libreria di fronte alla Kazanskij Sobor, Cattedrale di Nostra Signora di Kazan, naturalmente chiusa come tutti i luoghi di culto russi. Poco lontano si entra nel più grande bazar di Leningrado che occupa un intero isolato dove in un insieme di negozi si vende un po’ di tutto. L’atmosfera del bazar è alquanto asiatica, in pieno contrasto con il resto della metropoli che si sforza di mantenere il suo carattere europeo. Le merci esposte sono quasi tutte scadenti, molti scaffali sono vuoti, i clienti stanno in fila ordinati e pazienti per comprare piccole quantità di prodotti, poiché è evidente che esiste un razionamento. I prezzi sono bassi, almeno secondo il nostro metro di valutazione e, con il cambio nero del rublo che ci ha riempiti di carta straccia, ci sembra di essere ricchi, però, quando non c’è nulla da comprare si è colti da una sensazione d’impotenza. Per tornare in albergo, proviamo a prendere i tram, così si vede qualcosa in più della città e si rimane fra la gente. I passeggeri ci guardano con una certa curiosità. Qualcuno, vedendoci armeggiare con le macchinette e le monetine per pagare le corse, passa avanti e paga lui il nostro biglietto, poi sorride ai nostri ringraziamenti e non vuole assolutamente essere rimborsato. L’attenzione delle donne è rivolta al visone di mia madre, con colbacco, borsa e scarpe intonati. I leningradesi sono tutti ben coperti nel gelo spaventoso che attanaglia la città, ma non si può parlare d’eleganza. Lo stile di questi cittadini è rimasto nel portamento e nei modi. Fra i passeggeri muti dei tram si notano donne anziane dai lineamenti distinti, uomini impettiti intenti a leggere i giornali, giovani con i libri in mano, tutta una società colta e civile. Dopo il primo moto di curiosità verso gli stranieri in libera uscita, fuori dello schema e dall’itinerario imposto rigidamente dall’Inturist, la gente sembra pentirsi della propria debolezza, gli sguardi tornano indifferenti, le pose rigide e composte. Eppure, dietro la fronte, in una zona profonda della mente dove non sono penetrati i lavaggi del cervello, di certo molti passeggeri dei tram di Leningrado devono continuare ad amare la loro splendida città, chiamandola con rimpianto San Pietroburgo.
LE NOTTI BIANCHE-ESTATE 2015
Un ritorno dopo 34 anni, quasi mezza vita, è una grande emozione. Chissà quanta acqua è passata sotto i ponti del grande fiume Neva! Certamente quanta ne occorre per trascinare lontano, si spera per sempre, un mondo diverso e scomparso, travolto da fatali e provvidenziali eventi storici. Splendida nella sua veste estiva, San Pietroburgo è risorta, ricollocandosi come merita nel novero delle città più belle d’Europa. Oggi, alla gloriosa città è stato restituito il nome di San Pietroburgo. Le opere di ricostruzione e restauro sono state eseguite con cura e perizia russe e il risultato è stupefacente. Sotto il sole delle lunghissime giornate estive, la città risplende con le cupole delle magnifiche chiese e le guglie della Fortezza e dell’Ammiragliato rivestite d’oro zecchino, i palazzi lungo i canali e sul fiume si specchiano nell’acqua con i loro colori pastello e l’eleganza settecentesca delle favolose facciate. I turisti a migliaia navigano a lungo a bordo dei natanti con il tetto di vetro, bassi come i motoscafi di Amsterdam per passare sotto i ponti della città, affollati come i vaporetti di Venezia. Si passa dalle scenografie fantastiche del fiume, il Canal Grande di Pietroburgo, all’eleganza dei palazzi che si allineano nel centro storico lungo i canali Fontanka, Griboedova e Moyka. Si scende per ammirare da vicino i monumenti più famosi della città, soprattutto le splendide chiese, da Sant’Isacco a Nostra Signora di Kazan simili a basiliche romane, da San Salvatore sul Sangue Versato alla Spasö-Preobrazhensky Sobor di squisito stile russo, tutte perfettamente restaurate, colme di opere d’arte, grondanti oro e riaperte al culto. Si percorre il Nevskij Prospekt, la via più famosa di San Pietroburgo, riconoscibile a stento a causa dei cambiamenti. La società russa, dopo la caduta del regime che l’ha oppressa per sette decenni, ha visto sorgere una tumultuosa moltitudine di neoricchi dai dubbi costumi da cafoni, ma ora sembra contare anche su una classe media emergente, moderata e benestante, tendente a consumi di lusso e buon gusto. La celebre strada conosce oggi ingorghi di auto moderne di linee occidentali, importate o prodotte nel paese, nei negozi abbondano articoli eleganti come nelle vie dello shopping delle migliori capitali europee. Si notano molti giovani con abbigliamento modernissimo e l’immancabile cellulare di ultima generazione incollato all’orecchio. Quasi mezza giornata dedicata nuovamente all’immenso, straordinario museo dell’Ermitage basta a malapena per una rapida carrellata nei settori dedicati all’arte italiana. Per vedere tutti i capolavori delle più ricche collezioni del mondo racchiuse nel favoloso Palazzo d’Inverno, sostando solo mezzo minuto davanti ad ogni opera d’arte, non basterebbero alcuni mesi. Si tratta di più di tre milioni di oggetti dal valore inestimabile, sicché in un certo senso si è colti da una crisi d’astinenza. Dalle finestre sul fiume la vista è fantastica e dalla parte dell’immensa Piazza del Palazzo s’ammirano l’emiciclo dello Stato Maggiore e lo svettare della colonna granitica di Auguste Montferrand sovrastata da un angelo. Quando giungono le ore dei pasti si ritrova la tradizionale cucina russa che non sembra avere importato abitudini esterne. Piace a chi ama adeguarsi ai costumi di un paese amico anche attraverso il palato. Sempre strano l’abbinamento delle tartine di caviale con il bicchierino di vodka, ottima l’autentica insalata russa, calda e acidula la tradizionale zuppa di rape rosse, bollenti e sapidi i piraskij, fagottini di carne speziata, immancabile il gelato come dessert innaffiato dallo spumante russo. Il benessere, garantito dalla economia di mercato in un paese con enormi risorse e un popolo civilissimo e laborioso, ha consentito di dotare la metropoli di infrastrutture modernissime, di restaurare i magnifici monumenti e sviluppare l’edilizia abitativa. San Pietroburgo ha un grande porto commerciale e turistico. Intorno si notano nuovi quartieri residenziali e direzionali irti di grattacieli. Il vecchio Pulkovo Airport ha due terminali ed è uno degli scali più trafficati d’Europa. La città ha oggi cinque linee di metropolitana monumentale ed è abbracciata dall’enorme Koltsevaya Avtomobilnaya Doroga, come il Grande Raccordo Anulare di Roma, dalla quale si diramano le autostrade interminabili della Russia odierna. Le meraviglie di San Pietroburgo non si esauriscono nello spettacolare insieme urbano. Gli Zar ricchissimi e ambiziosi, vollero imitare gli altri potenti sovrani europei, gareggiando con Vienna e Parigi. Nella quieta compagna russa e lungo le rive del Baltico, lontano dalla capitale imperiale, realizzarono i loro sogni costruendo residenze estive di impressionante bellezza. Si esce dalla metropoli seguendo la prospettiva Moskovskij, lunga più di dieci chilometri. Superate le periferie e un breve tratto di campagna si giunge a Zàrskoje Selò, il Villaggio dello Zar. Qui si ammira il capolavoro settecentesco di Francesco Bartolomeo Rastrelli, la residenza estiva delle zarine Elisabetta Petrovna e Caterina la Grande. Quintali d’oro furono necessari per decorare in origine ed oggi restaurare perfettamente la straordinaria facciata del palazzo, gli sfarzosi saloni e le gallerie. Ovunque una profusione di quadri d’autore, affreschi nei soffitti, pavimenti intarsiati, gigantesche stufe di ceramica azzurra e mobili preziosi, ma la meraviglia del palazzo è senza dubbio la favolosa Sala d’Ambra. Nel 1717 il re di Prussia Federico Guglielmo I donò a Pietro I undici ricchi pannelli d’ambra, utilizzati per abbellire una sala della residenza estiva della zarina. Durante la seconda guerra mondiale i nazisti fecero sparire il capolavoro, mai ritrovato, ma la Russia attuale ha voluto restituire all’ammirazione dell’umanità questa meraviglia attraverso un decennio di minuzioso e costosissimo restauro, terminato in occasione del giubileo di Pietroburgo il 31 Maggio 2003. Si ritorna in città dirigendosi verso la costa per andare ad ammirare la residenza di Peterhof, amatissima da Pietro il Grande. Forse ispirandosi alla Villa d’Este di Tivoli, lo zar individuò a monte della riviera del Baltico le alture di Ropsha dalle quali scendeva un abbondante corso d’acqua adatto ad alimentare per caduta naturale un grande sistema di fontane in un parco di 1000 ettari. Volle pertanto creare qui la sua Versailles, dotandola di un grande palazzo, vari deliziosi padiglioni, cento sculture dorate, magnifici giochi d’acqua e un canale comunicante con il mare. Lo spettacolo dalla terrazza antistante il palazzo è unico al mondo. Ci si affaccia sulla Grande cascata con al centro la fontana di Sansone che spalanca la bocca di un leone, con un contorno straordinario di altre 38 statue e 312 bassorilievi. La giornata di sole valorizza ancora di più l’oro che riveste tutte le sculture, i fregi del palazzo, le cupole della chiesa. Deliziati dal gorgoglio delle cascate e delle fontane si passeggia nel magnifico parco dotato di essenze forestali rare e aiuole fiorite, si ammirano i palazzetti minori nascosti fra la vegetazione e si raggiunge la riva del mare nei pressi del padiglione Monplaisir prediletto dallo zar per i suoi svaghi. La vista sulla baia è riposante. Da noi è già l’ora del tramonto, ma nella Russia del nord il sole non tramonta mai per tutta l’estate. A San Pietroburgo l’oscurità notturna in luglio ha una durata di appena una trentina di minuti. Si vivono le “notti bianche”, non solo per il pallore del cielo ma anche per il desiderio di rimanere desti a godere delle feste organizzate ovunque per i pietroburghesi e gli ospiti Del passato opprimente sopravvivono alcuni aspetti con il grigiore della burocrazia statale. Forse certe cose fanno parte della mentalità russa influenzata dalle condizioni storiche, prima nella morsa della tronfia potenza imperiale zarista e poi sotto il tetro regime comunista. Ancora oggi sbarcare in Russia significa dotarsi di un visto d’ingresso e sottoporsi a scrupolosi controlli doganali. Il turista continua ad essere accolto a braccia aperte, poiché porta valuta pregiata, ma finisce subito costretto in gruppi discretamente sorvegliati e posti sotto le ali di guide-chioccia, quasi tutte donne perfettamente poliglotte ed eccezionalmente colte. Costoro, con i modi autoritari di presidi di scuola media, da una parte elargiscono puntigliose informazioni, dall’altra cercano di evitare che il forestiero si prenda la libertà di circolare in autonomia. Durante il cosiddetto socialismo reale, il turista doveva vedere solo le cose positive del paese, i suoi straordinari monumenti e le realizzazioni del regime, ma si impedivano i contatti con la realtà della vita grama del popolo oppresso. Oggi, si cerca di intimorire i forestieri amanti del “fai da te” presentando San Pietroburgo come una città infestata da scippatori, pronti ad approfittare del turista distratto dalle meraviglie della città, intento a fotografare i monumenti, a fare acquisti in libertà o usare i mezzi pubblici, descritti come il famoso autobus 64 di Roma, che va da Termini a San Pietro con i passeggeri presi di mira da innumerevoli tipi dalla mano lesta. Durante le visite, che a San Pietroburgo riguardano soprattutto gli straordinari edifici concepiti dagli zar per dare alla Russia una capitale inimitabile per bellezza e ricchezza, le guide mostrano oggi un entusiasmo che sfiora lo sciovinismo e sconfina nel culto delle personalità. Evitando praticamente di citare le realizzazioni sovietiche dei sette decenni di comunismo, si rievocano continuamente i grandi sovrani della Russia zarista come i soli e veri fautori della grandezza di San Pietroburgo. Incredibilmente, si parla anche della strage di Ekaterinburg, perpetrata dai bolscevichi per sterminare la famiglia imperiale dei Romanov, con particolari raccapriccianti. Vengono in mente certi francesi nostalgici della monarchia che ancora si rammaricano perché il popolo a suo tempo ha tagliato la testa a Maria Antonietta, fra le risate delle massaie dedite a fare la calza ai piedi della ghigliottina. Il grande tour di San Pietroburgo finisce sull’isola delle Lepri, nel luogo dove tutto ebbe inizio, nella Fortezza voluta da Pietro I per costituire il primo nucleo monumentale della nuova capitale russa da lui concepita sull’arcipelago di questo delta lagunare del Neva. Un sistema poderoso di sei bastioni e mura delimita la piazza sulla quale fu edificata la splendida Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, di non grandi dimensioni ma dall’interno ricchissimo con le tombe degli imperatori russi e con una guglia dorata altissima, che domina il panorama meraviglioso della città. Uscendo sul piccolo molo sul Neva, per ammirare sulla riva opposta il Palazzo d’Inverno e gli altri edifici del Lungoneva, assistiamo ad uno scippo in diretta. Le guide evidentemente hanno ragione nell’informare i turisti del pericolo. Un giovinastro russo strappa la borsa a due asiatici intenti a fare fotografie, ma costoro riescono a bloccarlo, in attesa della polizia, che nei regimi democratici opera in guanti bianchi. Poi interverranno i giudici buonisti e rimettere in circolazione il ladruncolo.
Umberto Mantaut