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Salva nos perimus

Diciamolo francamente, il pensiero della morte non piace a nessuno. Lo sappiamo già appena ci estraggono da mamma nostra. Il neonato piange, anzi urla con la boccaccia aperta, peggio dei calciatori quando segnano in porta, perché capisce di essere un altro condannato a morte. Poi tutti ad affannarci e lottare per le nostre umane faccende, pensando, ma solo ogni tanto, che da questa battaglia non usciremo vivi. La battaglia è solo un momento della guerra. Durante i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale gli aerei non decollavano da Wuhan, bensì dalle basi angloamericane, degli amiconi che poi chiamammo alleati. Gli stessi che ora strillano come galline spennate vive per i loro supergrassi cittadini forse votati ai 100.000 decessi, dimenticando che loro hanno disintegrato in un colpo solo 150.000 innocenti a Hiroshima. Noi in guerra avevamo le scuole aperte, allertate solo dalle sirene. Le maestre, che non erano carmelitane scalze, ma docenti anticlericali di un regime in camicia nera, ci allineavano contro la parete più robusta della classe. Ci facevano ripetere più volte “salva nos perimus” e noi sapevamo già da piccoli che non si parlava di morte comoda nel nostro letto, ma di uno sfracello di schegge o del fuoco delle bombe incendiarie. Al tramonto le campane ci invitavano in chiese aperte e gli interminabili rosari, interrotti dagli allarmi aerei, erano una serie di Ave Maria terminanti in “nunc et in hora mortis nostrae amen”. In tempi di pace il mondo ha fatto eccezionali progressi, ma in alcuni campi brancola ancora nel buio. Non parliamo di terremoti, maremoti o eruzioni tuttora imprevedibili, ma anche delle comuni epidemie, speriamo non prodotte in laboratori criminali, ma di certo mal contrastate quando scoppiano, forse per ridimensionare la popolazione del globo. Stranamente molti virus vengono dall’Oriente, percorrendo la via della seta. Negli anni ’50 ci fu la asiatica. La radio ne parlava, ma senza agitare lo spettro della catastrofe. Molti morirono, altri svilupparono gli anticorpi e continuarono a spingere avanti la barca, anzi la nave di lusso del boom economico degli anni ’60. La CEE si trasformò poi in U.E., arrivò l’euro, che ci ha strangolati nella culla, vedasi Grecia con un aumento della mortalità infantile. Un Papa polacco si è battuto contro la scristianizzaione della vecchia Europa, ma è morto inascoltato. Il nuovo, argentino, sta avviando le chiese chiuse su un “caminito” con buche come le strade di Roma. Salva nos perimus. Nel silenzio delle nostre case trasformate per decreto in prigioni le televisioni restano accese per frastornarci di statistiche fasulle delle vittime della nuova pestilenza. Molti cittadini ripetono quelle tre parole di fede rivolte al Creatore ma anche al legislatore. Non si invoca soltanto la flessione della “curva” dei contagi, si implora una indicazione precisa di come intende annientarci la miscela esplosiva di cervelli di scienziati in disaccordo fra loro e di teste vuote di politici che hanno la materia grigia in quella parte che sta attaccata alla poltrona. Salva nos perimus. Rischiamo di morire se non di virus incerto di fame certa, se non di polmonite come complicazione di crollo della economia come implicazione. A Pasqua ci lasciano la libertà di pregare in casa con la mascherina, possiamo fare a meno della merenda di Pasquetta sul prati, ma per il giorno della Liberazione fateci uscire a prendere una boccata d’aria, quella che non avete potuto negare neppure a un cane. Salva nos perimus.

                                                              Umberto Mantaut

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