Molti turisti frettolosi dopo una visita di Copenhagen pensano di conoscere la Danimarca. Per la verità la capitale danese è molto graziosa, vivace, colorita e accogliente, rispetto alle altre gelide capitali nordiche. Tuttavia il paese si rispecchia molto di più nella sua piatta provincia dalle abitudini non ancora alterate dalle frenesie delle grandi metropoli. Un tempo, neppur troppo lontano, le città e i villaggi danesi erano collegati da lentissime diligenze trainate dai poderosi cavalli frisoni dalle corte zampe, dotate di larghi zoccoli adatti alle strade pianeggianti e fangose della regione. Ogni dieci miglia, gli animali e i passeggeri potevano rifocillarsi in una “kro”. Con questo duro monosillabo s’indicano ancor oggi le innumerevoli locande che punteggiano gli itinerari danesi. Le kro conservano il loro antico fascino preservando l’arredamento caratteristico; vi sono sempre poche e semplici stanze ove pernottare, un pub fumoso ed un buon ristorante dal basso soffitto ligneo, illuminato da vecchie lanterne, dove viene servito il classico “danmenù”, composto di pochi piatti caldi e saporiti a base di carni suine e patate. Spesso all’esterno rimangono elementi dell’antica posta per cavalli: l’abbeveratoio, la scuderia, la bottega del maniscalco, i finimenti di cuoio con ornamenti bronzei e le vecchie ruote di carro. Nelle kro s’incontrano viandanti locali dalle semplici pretese, camionisti, contadini e mercanti di bestiame. I loro modi e i discorsi, conditi da risate e imprecazioni nei dialetti impossibili delle campagne, permettono di conoscere parecchie cose del carattere e dei costumi danesi, quando, con l’aiuto delle abbondanti libagioni di birra, la gente abbandona la riservatezza imposta dalla rigida educazione per rivelare un’insospettabile vivacità e una gran voglia di comunicare. Oltre alle kro, la Danimarca offre, ai viaggiatori che si spostano in autonomia, innumerevoli opportunità agroturistiche. Infatti, le fattorie ai margini delle strade principali hanno di solito un’ala destinata ad ospitare i forestieri. Le stanze sono straordinariamente linde e le famiglie ospitanti danno ampia libertà d’uso delle cucine e delle stanze da pranzo. Ci si può servire a volontà e accanto al frigorifero c’è una lavagnetta sulla quale segnare ciò che si preleva. Si paga alla partenza, non di rado andando per i campi a cercare i proprietari intenti ai loro lavori agricoli. I suoni della fattoria fungono da sveglia all’alba: il canto del gallo, il grugnito dei maiali e il cigolio delle macchine all’opera sulla terra umida e grassa della pianura dal profilo dolcemente ondulato. Sulle contrade danesi il cielo appare basso e scolorito, nonostante la lunga durata delle giornate estive che sfumano in un interminabile crepuscolo, seguito da una notte breve e biancastra. La campagna nella stagione più calda è bionda di messi mature, soprattutto orzo e segale, con i quali si producono enormi quantità di birra ed il pane nero sul quale i danesi amano spalmare abbondantemente il loro ottimo burro salato. Le mandrie bovine ruminano in libertà sui prati, ma l’allevamento più diffuso è quello dei suini in grandi porcili razionali. La ricchezza dei contadini locali si esprime in numero di maiali posseduti e l’odore non proprio gradevole dei grandi allevamenti deve apparire come un profumo per le narici degli abitanti dei villaggi, poiché si mostrano sempre sorridenti, pieni di cordialità e dotati di un appetito formidabile, nonostante il lezzo che li circonda. Gran parte della Danimarca è formata da isole, ma un buon sistema di ponti e di traghetti offre l’impressione che il paese sia un’entità molto integrata ed uniforme. Mentre la capitale è vivace, cosmopolita e assai disinibita, la provincia danese ha una vita sonnolenta, abitudinaria e chiusa. Le piccole città orbitano intorno alla Kagade, strada centrale pedonalizzata, la cui animazione cessa di colpo alle cinque del pomeriggio quando chiudono i negozi. Allora gli abitanti si ritirano nelle loro linde casette dalle grandi vetrate, ornate da corte tendine di pizzo bianco. Molto presto si accendono lampade e candele e le famiglie si muovono come i pesci in un acquario alla vista dei rari passanti che indugiano nelle strade deserte. L’isola di Fyn, la deliziosa Fionia, è un po’ il cuore romantico della Danimarca, forse perché vi sorge la città natale di Andersen, la fiabesca Odense che deve il suo nome al dio germanico Odino. A Odense e in tutta la Fionia colpisce l’aspetto delle case. In contrasto con la statura degli abitanti, le dimore sembrano destinate a gnomi e fate, poiché hanno porticine basse e colorate, finestre piccine, tetti così bassi che si possono toccare alzando una mano dal marciapiedi e interni dal soffitto ligneo e dal mobilio affollato da ninnoli e mazzetti di fiori. A quell’atmosfera di fiaba e di magia si può aggiungere un pizzico di superstizione. Un venerdì 17, lasciando all’alba l’ennesima kro, si è oppressi da un presentimento. Infatti, nella città di Svenborg, una contadina distratta ci tampona violentemente causando danni ad entrambe le vetture. A differenza di ciò che accade da noi in simili circostanze, la donna si assume subito la responsabilità dell’incidente, l’assicurazione interviene immediatamente e si rimedia a tutto in modo rapido e civile. L’investitrice, dopo le varie pratiche, ci invita nella sua fattoria. Vive da sola su un’isola, la lunga e poco popolosa Langeland, unita alla Fionia da un ponte. La casa è in riva al mare, qui sempre così calmo da consentire all’erba dei prati di spingersi fin sulla spiaggia. La fattoria con più di trecento capi suini, qualche mucca, un bell’orto e un frutteto ben fornito, permette di produrre ogni sorta di leccornie casalinghe, affettati squisiti, dolci, marmellate, miele, burro e latte fresco. Tuttavia, la proprietaria è un po’ triste e desiderosa di confidarsi, mescolando curiosamente frasi tedesche ed inglesi. I suoi due figli hanno voluto studiare, svolgono lavori intellettuali nella capitale e non ne vogliono più sapere di badare ai porci nell’idilliaco ambiente isolano. Dalla Fionia si ritorna in continente attraverso un ponte che permette di raggiungere la città di Fredericia e poi, più a nord, la seconda città della Danimarca, Arhus, nota per Den Gamle By, la città vecchia che si presenta come un museo all’aria aperta con vecchie case tipiche di tutte le regioni danesi, conservate con molta cura nelle loro strutture architettoniche e con l’arredamento originario, ricco di opere dell’artigianato tradizionale e testimonianze storiche. Randers, a nord di Arhus, rivela gli aspetti meno garbati della Danimarca, essendo un porto commerciale al fondo di un profondo fiordo. Durante le notti del fine settimana, marinai, pescatori ed operai delle industrie locali si danno convegno nei pub per abbandonarsi ad abbondanti libagioni. Dall’esterno non si nota nulla di strano, perché sulle strade non ci si permette di tenere comportamenti poco corretti, ma non appena si varcano le soglie delle birrerie si entra in un’atmosfera dantesca. A dare il via ai baccanali sono le donne, che nell’esercizio del bere sembrano più audaci dei maschi. Con il passare delle ore e nel fumo denso del tabacco e delle altre erbe combustibili, il vociare si fa sempre più concitato, i balli si trasformano in scomposte sarabande e si può assistere a scene dove si smarriscono i confini fra le effusioni amorose, la gozzoviglia, gli alterchi, la crapula, i lazzi e le tipiche manifestazioni isteriche della gente repressa. All’opposto di Randers, Billund è un’oasi d’innocenza. Nei pressi di questo villaggio del centro dello Jylland stupisce l’esistenza di un grande aeroporto internazionale dove atterrano e decollano in continuazione enormi velivoli carichi di bimbetti biondi, provenienti da tutta la Danimarca e dai paesi nordici vicini. Il richiamo per l’infanzia è costituito dal parco-giochi di Legoland. Infatti, a Billund c’è l’industria del lego, il semplice e fantasioso gioco di plastica, costituito da formine colorate e ad incastro, con il quale i bimbi possono sviluppare la propria creatività, come con un meccano dalle più incredibili possibilità. A Legoland ci sono vere e proprie vasche, a mo’ di piscine, con milioni di pezzi di lego in mezzo ai quali i bambini possono sguazzare e creare. Lo spettacolo è assai divertente. Alla fine della giornata di gioco, le composizioni migliori vengono premiate e si meritano un posto d’onore negli scaffali dell’originale mostra dei capolavori, vero e proprio museo della creatività e del genio infantili. Dopo le rumorose e trasgressive atmosfere di Randers ed il vociare dei bimbetti di Legoland, è d’uopo concedersi un po’ di riposo e il riordino degli appunti di viaggio presso la Lunde Kro nel villaggio omonimo, vicino alla costa occidentale della Danimarca. Lunde, purtroppo, sembra un campo di concentramento, perché è un villaggio triste in una regione piatta le cui dune costiere, grigiastre e battute da un vento incessante, fronteggiano immobili i cavalloni altrettanto grigi, ma assai irrequieti, del gelido Mare del Nord. I pochi abitanti di Lunde si animano solo per pochi minuti ogni giorno sul far della sera, quando nella locale stazioncina giunge ansimando l’unico treno giornaliero che assicura i collegamenti con il resto del mondo. Osservare il patetico convoglio, formato da una vecchia motrice ed un solo vagoncino rosso, pare sia un’attrazione irresistibile, sebbene, dopo sbuffi di fumo e stridio di freni, non scenda mai nessuno. Dopo le otto di sera e fino all’alba, un impressionante silenzio avvolge Lunde e la campagna circostante che, a settentrione, si trasforma in una vasta palude costiera denominata Ringkobing Fjord Naturreservat, popolata da uccelli acquatici che si rifugiano fra le canne al riparo della duna lunga e stretta che separa il fiordo dall’oceano tempestoso. Scendendo lungo la costa, fronteggiata da sabbiose isole, in parte danesi e in parte tedesche, s’incontra il porto di Esbjerg, città dall’aspetto inglese, forse a causa dei continui contatti con le coste dello Yorkshire, della Scozia e delle Middlands, i cui scali sono collegati da traghetti frequenti in partenza dalla Danimarca, proprio da queste banchine. L’ultima cittadina autenticamente danese, prima di rientrare nel land tedesco dello Schleswig-Holstein, è Ribe, deliziosamente conservata all’ombra della bella cattedrale romanica, costruita nel XII secolo con tufi e arenarie di Brema.
Mantaut Umberto