Nel pieno rispetto della tesi dei corsi e ricorsi storici, secondo i quali decadentismo e rinascimento si alternano in ritmica sequenza, dobbiamo riconoscere che stiamo attraversando un momento storico di pieno decadentismo, periodo in cui i valori che normalmente nobilitano l’uomo si stanno rapidamente degradando. L’arroganza sempre più diffusa ci ha persino portati a sfidare le più elementari regole della natura, e di ciò ne stiamo pesantemente e pressoché inconsapevolmente pagando le conseguenze. Si vorrebbero cancellare le differenze antropologiche che distinguono il maschio dalla femmina. A questo punto del ragionamento però corre l’obbligo di precisare cose apparentemente ovvie, vale a dire che questi due naturali generi, maschile e femminile, debbono godere dell’assoluta parità di diritti e doveri. E questa condizione, a mio modesto parere, non si ottiene provando a cancellarne le differenze, assolutamente no, quelle appartengono agli equilibri della natura e si ottengono solo con il rispetto, in primis quello dettato dalle normali regole morali non scritte, poi con quelle previste dalla legge. Direi invece che la via d’uscita sarebbe proprio quello di ritrovare, rimarcare, rispettare le precise e naturali peculiarità della diversità dei sessi. Poi ci sono soggetti che, pur appartenendo ad uno di questi generi, provano sensazioni ed atteggiamenti diversi, donne che si sentono uomini e viceversa. Anche loro, con tutte le diversità del caso, vanno rispettati riconoscendo pari diritti e doveri. Vediamo quotidianamente aziende che spostano le sedi altrove, chiudono, apportano drastici tagli al personale, per delocalizzazioni o semplicemente perché l’automazione richiede naturalmente molta meno mano d’opera. E’ inutile girarci attorno, come fanno politici e sindacalisti che continuano imperterriti a richiedere ipocritamente posti di lavoro invece di trovare nuove strategie. E’ inutile, lavoro ce ne sarà sempre meno. Ma poi sono gli stessi che per farci digerire l’adozione dell’informatizzazione anni fa dicevano “lavoreremo tutti, lavoreremo meno.” E mentre sono arroccati su posizioni fuori dal tempo lo scenario attorno muta alla velocità del suono, ci vorrebbero distrarre con le diatribe sulla cancellazione dei sessi, proponendoci di risolvere tutto con un asterisco, oppure chiamando Assessora un Assessore donna. Le quote rosa sono un’altra bestialità, va riconosciuto il merito, maschile o femminile che sia, non importa la differenza matematica. La soluzione sta nella storia. Ad apertura articolo si diceva dei corsi e ricorsi storici, dove ad un periodo di decadentismo si avvicenda sempre il rinascimento, ed è vero, solo che a segnarne l’inversione di tendenza sono sempre fatti gravi, brutti, tragici, violenti. Fino al secolo scorso erano le guerre, mentre in epoca moderna non si combatte più con le armi convenzionali, bensì agendo sull’economia, anche con le pandemie. Da questo la ricostruzione può avvenire, a mio avviso, solo ritrovando i ruoli che la natura ci ha destinato, e di conseguenza modificando gli stili di vita, ridisegnando la società, prima fra tutti recuperando la famiglia. Facciamo un esempio pratico: ad inizio anni ’60, in pieno boom economico, le fabbriche nascevano come funghi, il consumismo cominciava ad affacciarsi: in ogni casa entravano frigoriferi ed altri elettrodomestici; nasceva la televisione; l’industria automobilistica motorizzava ogni famiglia, ed allora bisognava produrre e serviva mano d’opera, anche quella femminile. Oggi i mercati sono saturi e l’automazione sta determinando il fatto che laddove servivano cento persone lo stesso lavoro si porta termine con dieci, mantenendo, se non accrescendo, i profitti. A tutto questo si aggiunga la delocalizzazione, favorita da un’altra opportunità per i mercati rappresentata dalla globalizzazione, quel sistema che ci hanno spacciato come il modo per livellare verso l’alto il tenore di vita generale, invece è successo l’esatto contrario, livellamento si, ma verso il basso. Vediamo bene che oggi un lavoro non si sceglie ma si accetta, ed il potere contrattuale è prossimo allo zero, prendere o lasciare. Da questo si evince che non ci sono molte alternative per ritrovare il giusto equilibrio, se non il ritorno alla famiglia classica, dove la donna si occupa di figli e socialità mentre l’uomo provvede al sostentamento, pur lasciando massima libertà di scelta individuale per il proprio futuro. Comunque sia non so se una donna in giro alle sei del mattino, anche con il brutto tempo, aggrappata ad un camion addetto alla raccolta della spazzatura, dopo aver frettolosamente parcheggiato da qualche nonna i figli insonnoliti, possa dirsi realizzata. Non sarebbe meglio fare una serena colazione famigliare e poi accompagnare i figli a scuola, occuparsi delle loro problematiche, intervenire anche attivamente alla gestione di attività ed opportunità più belle e stimolanti, partecipando attivamente alla costruzione di una società a dimensione umana? Proviamo a pensarci almeno per un attimo lasciando da parte le cosiddette questioni di principio, che a nulla portano se non a pretestuosi conflitti. Lasciando mano libera a coloro i quali avrebbero la responsabilità del nostro futuro vediamo bene che non potremo nemmeno più augurare Buon Natale al vicino di casa, o dovremo acquistare la banana della lunghezza e curvatura stabilite. Non cadiamo in queste trappole, partecipiamo per diventare noi gli artefici del futuro nostro e dei nostri figli.
Giorgio Raviola