La città ideale è stata delineata varie volte nella storia dell’architettura e dell’urbanistica, ma nel mondo moderno si tende a far riferimento anche alla sociologia, sicché una città per essere definita ideale non deve soltanto essere un armonico e scenografico complesso di costruzioni, ma deve consentire alla qualità della vita dei suoi abitanti il raggiungimento dei livelli più elevati. Pertanto, i parametri e gli indici di vivibilità si riferiscono ad un insieme molto articolato di fattori: dimensioni, servizi, pulizia, bellezza, ambiente, carattere e comportamento degli abitanti, sistema amministrativo e molti altri aspetti. In una gara internazionale ha vinto Todi, non solo come la migliore città d’Italia e d’Europa, ma a livello intercontinentale. Chi già la conosceva non si è stupito, chi non l’ha mai visitata è spinto dalla curiosità a recarvisi per una constatazione diretta.
Già da lontano Todi appare come una visione onirica. Per la verità bisogna arrivarci in un’alba autunnale, quando la città, cinta da intatte mura, emerge dalla nebbiolina che avvolge i colli umbri dopo le prime notti fredde che indorano le chiome degli alberi e fanno fiorire rosei ciclamini selvatici fra le foglie secche del sottobosco. Mentre ci s’avvicina a Todi sulla strada curvilinea che la raggiunge, dai finestrini entra un sano odore di campagna che penetra nei vicoli e ristagna sulle piazze stupende della città. Todi, lungi dall’aspirare al poco ambito titolo di metropoli, è rimasta paese nel senso migliore della parola. Rappresenta il “Bel Paese”, culla dell’arte e del bel vivere. Todi ha la forma di un grande cappello a tre punte adagiato sulle colline, ma appare anche come un’aquila con le ali spiegate che plana sulle campagne. Infatti, il nobile rapace è il simbolo della città e compare sull’arme sorreggendo un drappo che, secondo la leggenda, l’uccello sacro avrebbe deposto sul rozzo desco dei Vetii Umbri, fondatori della città. Un’altra leggenda parla d’Ercole come fondatore, dopo avere ucciso Caco proprio in tale sito. Ai vertici della triangolare planimetria si collocano le medioevali porte Romana e Perugina e la Rocca con i suoi ruderi, il bel parco e il piazzale dal quale si gode di un magnifico panorama.
L’antichissimo nome attribuito al primo insediamento umano dei Vetii Umbri sui colli di Todi era “Tular”, con il significato di “confine” nella lingua del tempo. Per i Romani, Todi fu Tutere o Colonia Julia Fida Tuder, già limite fra le terre latine e quelle della conquistata Etruria. La città fu poi definita “marzia”, per il valore dimostrato dai suoi abitanti nelle guerre contro Annibale. Al tempo delle invasioni barbariche, Todi si dimostrò un baluardo inattaccabile. Città guelfa, resistette a Federico II, per passare poi da una signoria all’altra fino ad entrare a far parte dei domini papali. Oggi, l’antica Todi continua ad essere un presidio di confine, in perfetto equilibrio fra il mondo arcaico e quello postmoderno, con l’intelligenza di saper cogliere i pregi d’entrambi i sistemi di vita. I tuderti hanno impedito alle brutture di un modernismo scadente di deturpare con costruzioni e rifacimenti insensati il tessuto perfetto della loro città storica. Tuttavia qui non si pecca di conservatorismo ottuso o cieco campanilismo. I tuderti navigano in internet meglio che altrove nel chiuso delle loro splendide dimore sapientemente restaurate. Dietro le antiche insegne s’aprono negozi con arredi firmati da architetti d’avanguardia.
Nelle vie di Todi e nelle piazze dove il cittadino può passeggiare e socializzare, come nelle antiche polis, ma soprattutto nei vicoli dove vive l’autentico popolo tuderte, l’aria fredda di tramontana disperde gli odori degli arrosti girati, la primavera profuma di primule, l’estate di frutta fresca e l’autunno di mosto, funghi e tartufi. Questa zona ha la fortuna di un clima ideale: un inverno breve, rigido e secco, un’estate lunga, calda e ventilata e due deliziose mezze stagioni. L’ambiente è adatto per le colture dei cereali, della vite e dell’ulivo. La tipica agricoltura dell’Italia centrale e l’allevamento del bestiame contribuiscono alla varietà e al pregio dei prodotti. Todi, in questo senso, è un ricco mercato che favorisce la varietà e l’eccellenza della cucina locale.
L’automobile che anche qui tutti possiedono va ad ammorbare l’aria sulle strade esterne al centro storico. Gli eventi più significativi dell’anno, che in troppe città si presentano come schizofrenie da stadio o da concerto rock, a Todi hanno una compostezza antica. In settimana santa si ripete il “Pianto della Madonna”, simile ad una manifestazione sivigliana, in aprile-maggio la Mostra Nazionale dell’Antiquariato attira visitatori da tutto il mondo, il Settembre Todino offre spettacoli folcloristici e culturali d’ottimo livello. I notevolissimi gioielli monumentali della marzia Todi sono esaltati sui testi appositi ed enfatizzati nelle descrizioni delle guide locali, ma, stranamente, pensando a Todi o lasciandola dopo attenta visita non si ha memoria di un monumento simbolo e ciò in definitiva non è negativo. Grandi centri come Milano, Torino, Pisa o Napoli determinano immediate associazioni d’idee con un Duomo, la Mole, la Torre pendente, il Maschio Angioino. Persino città minori ma fantastiche, della stessa Umbria non sfuggono alla regola. Ecco il Duomo d’Orvieto, il Ponte delle Torri spoletino, la Basilica del Santo d’Assisi. Todi è un insieme museale all’aperto talmente armonioso che non è facile graduare fra la bellezza del duecentesco Duomo, la severità gotica di San Fortunato, nella cui cripta riposa Jacopone, e l’eleganza rinascimentale di Santa Maria della Consolazione. Difficile dare priorità ai palazzi del Popolo, del Capitano e dei Priori che s’affiancano e si fronteggiano nello stupendo salotto della piazza centrale della città, sul sito del Foro romano.
A Todi hanno identica nobiltà e funzione decorativa, in un tessuto urbano ottimamente preservato, il portale scenografico di un palazzo nobiliare e il balcone fiorito di un vicolo. Ciò indica altresì che il popolo tuderte nei secoli ed ancora oggi non conosce attriti fra le classi sociali, quando si tratta di edificare, ornare e conservare i manufatti, perché qui è prevalsa la volontà di integrare e fondere tutto in un insieme urbano d’estrema armonia. Questo scrigno di tesori è stato sempre protetto da poderose cinte murarie nelle quali s’aprono poche storiche porte per impedire intrusioni e forse anche contrastare le fughe. La primitiva cintura etrusca è ancora presente sotto forma di sparsi ruderi e dell’intatta Porta Marzia, ma la cintura etrusco-romana e quella medioevale abbracciano ancora saldamente l’abitato tuderte. Gli scavi hanno arricchito i musei etruschi in Vaticano, dove si ammira la statua di “Marte della città marzia”, in Villa Giulia a Roma, nell’Archeologico di Firenze e nell’Etrusco-romano della stessa Todi. Le mura romane cinsero l’importante città dotata di teatro, anfiteatro, templi e terme. In esse s’aprono le belle porte Libera, Aurea, delle Catene e delle Milizie. Nella prima metà del 1200 si costruì il terzo cerchio di mura per la difesa di Todi medievale, giunta intatta fino a noi, nonostante i lunghi periodi di decadenza. In alcuni tratti i muri hanno funzioni di contenimento, poiché, come Orvieto, Todi è minacciata dalle frane, ma già dai tempi di Vitruvio si citavano le opere tuderti dell’area dei Pontigli come modelli dell’incomparabile architettura romana. La pianta triangolare di Todi si suddivide in tre borghi medioevali, Urbano, Porta Fratta e Nuovo, dai vicoli stretti in ripida discesa, con scorci magnifici su tratti di cielo azzurro e verde campagna. Dal Campidoglio di Todi, che occupava l’area della Rocca attuale a quota 411 s.l.m., si potevano controllare le difese di tutto il territorio tuderte rappresentate dai suoi 365 castelli, oggi ridotti a ruderi sparsi nella macchia umbra.
A Todi si parla un ottimo italiano. L’accento umbro, che non può essere nascosto nella parlata delle masse cittadine, si stempera molto, quando a conversare è il tuderte colto. In ogni caso le forme dialettali non scivolano mai verso le sdolcinature toscaneggianti della parlata perugina e non hanno la durezza delle espressioni romanesche. Non a caso Todi, sebbene pochi lo riconoscano, è stata una delle culle della nostra bella lingua neolatina. Nel 1200, quando gli intellettuali incominciarono ad allontanarsi dal latino simpatizzando per il volgare, Todi ebbe una funzione di bozzolo. Accolse il germe della poetica siciliana di Federico II e lo elaborò come una crisalide destinata a sfarfallare splendidamente nella luce dei versi di Dante. La fatica e le doglie del parto della nostra lingua si notano affrontando la lettura delle Laudi di Jacopone da Todi. Era costui un laico, colto, forse un uomo di legge, nato intorno agli anni quaranta del Duecento. Dopo la morte tragica della moglie nel 1268, Jacopone, imitando San Francesco d’Assisi, sceglie una vita di penitenza, povertà e umiliazione, ma a differenza del Serafico che considerava tutte le cose create come sorelle alle quali sorridere, perché espressioni del Creatore, Jacopone vede il mondo come una continua fonte di tentazione e di peccato. La poetica di Jacopone, difficilissima da leggere ed interpretare, contiene perennemente un invito a tenersi alla larga dal male. Egli giunge a maledire i nostri cinque sensi che sono occasione di piacere e perciò di peccato, dimenticando che sono un dono che c’è stato elargito per avere la percezione del creato e, pertanto, fonte di riconoscenza verso il Creatore. La “follia” di Jacopone si scatenò soprattutto contro le frange francescane che, dopo la morte di San Francesco, tentavano di ammorbidirne la regola, con il beneplacito del Papato. Incappando nell’ostilità di Papa Bonifacio VIII, Jacopone patì la scomunica e il carcere. Ne uscì durante il Papato di Benedetto XI, si chiuse nel convento di San Lorenzo di Collazzone dove morì il giorno di Natale del 1306. La lingua di Jacopone è un complicato miscuglio di termini aulici latini, espressioni dialettali evidentemente dell’Umbria medioevale e neologismi di sua invenzione, utilizzati dal poeta per dare vitalità alla sua opera. Con Jacopone la città di Todi fu nel Duecento il vero laboratorio, il pensatoio e la forgia della lingua italiana, oscurati poi dalla grandezza del Sommo Poeta toscano. Anche per quest’aspetto Todi è una città interessante e misteriosa.
Di Todi “città ideale” si parla di più nei continenti lontani che in Europa, in Italia e nella stessa Umbria. La città si colloca con aristocratica riservatezza e composto silenzio in una posizione quasi defilata. Sarebbe ora che i quotidiani nazionali, i periodici e le riviste, ammorbati da una politica squallida, da cronaca nera orripilante, da gossip insipido e da sport sguaiato, ci offrissero uno “speciale” per una città speciale.
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Via Montesanto – Todi
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