In certe botteghe dalla clientela esigente campeggia un cartello spiritoso: “L’impossibile lo facciamo subito, per i miracoli occorre attendere un poco”. Agli ingressi della Toscana bisognerebbe scrivere: “I miracoli li vedrete subito, l’impossibile è stato realizzato nel Rinascimento”.
Mentre le varie contrade d’Italia si stanno spersonalizzando in una maglia sempre più stretta di piste d’asfalto fiancheggiate da capannoni industriali e le città più belle si circondano di squallide periferie, la Toscana resiste con l’atteggiamento fiero dell’aristocratica decaduta che, solo a certe condizioni e per sopravvivere, accetta sdegnosa qualche compromesso con la tracotante borghesia dei neoricchi.
La regione rivela anche altre straordinarie peculiarità. Qui la natura e gli uomini possono rifiutare, giovandosi della buona sorte e delle virtù proprie, ogni forma di massificazione e confusione di ruoli, non accettando confronti, a costo d’assumere posizioni di chiusura che gli inglesi, che sono i maggiori estimatori europei
della Toscana, scambiano per riservatezza e rispetto della privacy, concetti quasi sconosciuti nelle altre regioni italiane.
Parlare della Toscana come di una regione qualsiasi è in ogni caso quasi offensivo per un nobile Granducato che continua a giovarsi dell’abbraccio rassicurante dei monti e dell’affaccio luminoso sul Tirreno per ridurre al minimo i contatti esterni contaminanti e conservare intatte le sue caratteristiche di culla e faro di civiltà. Non si dimentichi che le radici della “cultura” toscana sono etrusche e l’Etruria, che mai fu un impero, era un insieme di fiere città-stato, spesso in conflitto fra loro, malvezzo che ancora sopravvive fra le varie province della regione Toscana e del vicino Lazio.
Scrigno di gioielli con le sue cento città d’arte e i mille borghi antichi dove si parla l’italiano più puro dalle inflessioni musicali, la Toscana ama auto-lodarsi riservando a chi ha avuto la sfortuna di nascere altrove un’accoglienza amabile con sfumature di sufficienza, che si colgono in certe osservazioni argute che accomunano in un’autentica costumanza civile il nobile e il plebeo, l’accademico e il manovale, l’intellettuale e il contadino.
A Pisa, e i pisani hanno ben ragione d’essere tanto superbi per la loro superiorità nel campo delle arti e della cultura, i miracoli prendono corpo e s’evidenziano nella Piazza del Duomo che qui si chiama Piazza dei Miracoli o Campo dei Miracoli, poiché, a differenza di quasi tutte le altre città d’arte, il Duomo non si trova al centro bensì è dislocato quasi fuori cinta, adagiato su un “campo” d’erba pettinata per dar risalto al candore dei marmi.
Di fronte al Duomo di Pisa c’è un’altra meraviglia, il Battistero, e dietro s’inclina la celeberrima Torre pendente, miracolo d’arte e d’equilibrio statico che di certo merita il titolo di monumento più fotografato del mondo. Il Campo dei Miracoli è chiuso dal cimitero che non è il solito camposanto monumentale ma una vera e propria galleria d’arte. Solo su un lato della piazza, forse perché i miracoli non sarebbero tali se non ci fosse l’uomo a constatarli, le case e le mura hanno un aspetto comune che non svilisce la bellezza del complesso, anzi fa risaltare ancor più la sua magnificenza.
Arrivare sul Campo dei Miracoli senza un minimo di preparazione può provocare uno sbalordimento al limite del malore, come appunto accade a chi assiste ad un miracolo, ma poi ci s’abitua al bello che in Toscana è frutto di una natura generosa e del lavoro dell’uomo che in questa regione s’esprime sempre e soltanto con opere d’arte, sia che s’ammirino gli ordinatissimi vigneti del Chianti o gli ulivi perfettamente potati della Garfagnana, sia si tratti d’edifici rurali isolati, di borghi di campagna o d’intere città-museo.
Le sorprese del Campo dei Miracoli non si limitano all’insieme spettacolare, ma riguardano ogni dettaglio degli interni. Il Duomo che è il massimo monumento del romanico pisano, indulge nelle sue cinque navate in decorazioni orientaleggianti, colonnati con capitelli corinzi, compositi e figurati, un soffitto a cassettoni del tardo Rinascimento, affreschi di varie epoche, ma lascia a bocca aperta chi per la prima volta vede il miracoloso “pergamo” di Giovanni Pisano, di poco posteriore al duecentesco pulpito di Nicola Pisano, altro gioiello che si trova al centro del Battistero.
La miracolosità pisana non è limitata all’incomparabile Campo, permea gran parte del centro storico dalle strette vie medievali che sboccano in piazze monumentali come quella dei Cavalieri con chiese, torri e palazzi magnifici. Se nell’ora del tramonto, quando s’accendono i lampioni sui lungarni sontuosi ci si trova ad attraversare il vecchio Ponte di Mezzo, arrivando da Via Borgo Stretto e Piazza Garibaldi con la visione delle Logge di Banchi e del Palazzo Gambacorti, la sindrome già vissuta nel Campo si ripresenta, questa volta nel vedere specchiate nell’Arno le magnifiche facciate dai delicati colori toscani e, più a valle, il mirabile gioiello gotico di Santa Maria della Spina.
Pur essendo cosa ovvia, questo inestimabile patrimonio dell’umanità è stato dichiarato tale dall’UNESCO nel lontano 1987. In trenta lunghi e travagliati anni i pisani, approfittando anche del crescente sviluppo del turismo di massa, l’incremento del traffico del principale aeroporto toscano e i nuovi terminali per navi da crociera a Livorno e La Spezia, hanno trasformato la loro splendida città nel quarto polo di attrazione internazionale, dopo Roma, Firenze e Venezia.
La ricaduta economica sul tessuto produttivo, commerciale e sul terziario dell’accoglienza alberghiera è evidentissimo non solo nella città di Pisa, bensì in tutte le sottoregioni limitrofe dalla Versilia alla Lunigiana, dalla Garfagnana alla Maremma.
L’Etruria, molto più a sud e nel Lazio, che purtroppo in Italia significa già arretratezza economico-culturale, è rimasta a lungo inerte come un Lazzaro nella sua tomba, anzi con le sue tombe in necropoli di inestimabile significato archeologico. Il famoso “alzati e cammina” è giunto assai tardi, nel 2004, da parte non degli dei dell’Olimpo bensì dall’Unesco. Sono trascorsi 16 anni, ma ancora non si è sentito nessuno gridare al miracolo.
Riecco, invece, evidenziarsi una forma di vecchia rivalità fra Tarquinia e Cerveteri, come nelle antichissime capitali etrusche. L’Unesco le ha accomunate nella “protezione” e unite dovrebbero elaborare un unico e ben articolato “piano di valorizzazione” non limitato alla sola salvaguardia delle necropoli etrusche, ma a tutto il territorio che va dal litorale viterbese fino alla foce del Tevere. Ricordiamoci che Etruria può avvalersi dei due “hub” marittimo e aereo di Civitavecchia, principale scalo crocieristico del Mediterraneo, e Fiumicino Aeroporto intercontinentale. Questi due poli, collegati da autostrada e ferrovia che attraversano il territorio etrusco, potrebbero convogliare sia a Cerveteri, sia a Tarquinia, grandi masse di visitatori, con vantaggi inimmaginabili, anzi facilmente immaginabili se i responsabili locali e le relative popolazioni si rendessero conto delle opportunità che ciò può rappresentare.