Chi sa cogliere i doni della buona sorte ha fra le tante fortune quella di poter contare su buone amicizie siciliane. Gli isolani sono di solito chiusi e diffidenti, ma la Sicilia è un’isola solo per il dettaglio del breve stretto che la separa dalla Calabria. Per il resto è da secoli un crocevia intercontinentale. Le bellezze naturali, la posizione strategica e il clima felice hanno sempre attratto i popoli mediterranei e non solo, i quali hanno gareggiato per conquistare l’isola, trasformandosi rapidamente da aggressori in ammiratori, integrandosi con le etnie locali in un continuo scambio di sangue e di culture. Dai cartaginesi ai greci, dai romani agli iberici, dagli arabi ai normanni, tutti hanno lasciato in Sicilia meravigliose vestigia, contribuendo alla formazione di una cultura dalle radici millenarie e di costumi che condizionano mentalità e comportamenti del siciliano moderno in maniera inequivocabile. Come in tutto il mondo anche in Sicilia “there is good and bad”, ma in quest’isola meravigliosa il buono e il cattivo s’esaltano, forse per effetto di un ambiente dai fortissimi contrasti, fra lo splendore delle sue coste e l’asprezza dei suoi monti, le ricchezze incommensurabili dei “patrizi” e le miserie plebee, la raffinata cultura della nobiltà e la primitiva rozzezza degli umili. I figli della Sicilia possono essere spietati mafiosi o coltissimi intellettuali, pezzenti ignobili o veri signori, politici saggi o spregiudicati quanto impuniti predatori della cosa pubblica. Se la fortuna ci assiste e si fanno le conoscenze giuste, in Sicilia si tocca con mano la verità del detto “chi trova un amico, trova un tesoro”. Senza amici del posto le città sono soltanto aeroporti, stazioni, taxi, alberghi, ristoranti, uffici e aziende, ma il contatto con la realtà locale, la percezione della vera vita urbana e della mentalità degli abitanti, una reale conoscenza del luogo rimangono troppo in superficie. Chi visita superficialmente Palermo ricorda i pericolosi atterraggi a Punta Raisi, il sudiciume della vecchia stazione, la bruttezza delle periferie, simili a quelle di tante altre metropoli europee cresciute in fretta e male dopo la guerra, il degrado ignobile dei quartieri portuali, i bellissimi palazzi di certe strade deturpati da anni d’incuria, la scarsità di verde, lo scempio edilizio nella meravigliosa Conca d’Oro e la trascuratezza delle belle spiagge. Nonostante l’impegno speso dagli odierni palermitani per far decadere la loro città, Palermo ha conservato la “pianta” e le grandi dimensioni di una capitale. Il primo colpo lo hanno inferto i piemontesi. Palermo era la seconda capitale del prospero Regno delle Due Sicilie, sede di vicereame, il faro di civiltà più meridionale d’Europa, in gara con Parigi, Vienna e Napoli per il primato di migliore metropoli del vecchio continente. I governanti sabaudi del neonato stato unitario italiano hanno avuto il grave torto di trasformare l’intera Sicilia e Palermo in una sorta di colonia africana nella quale introdurre metodi burocratici d’amministrazione assolutamente estranei alla mentalità e ai costumi del luogo, svilendo, anziché valorizzarle, le potenzialità dell’isola e della sua magnifica capitale. La grandezza di Palermo si scopre visitando i suoi straordinari monumenti: il Palazzo dei Normanni e la Cappella Palatina, il Duomo imponente e le altre chiese preziose della città, il crocevia dei Quattro Canti, la Piazza Pretoria, il Teatro Massimo e il Politeama e, per finire con una gita al miracolo architettonico di Monreale. Bisogna essere fortunati e ospiti di un palermitano colto e benestante e soggiornare abbastanza a lungo e in stagioni differenti in Viale della Libertà. In questa strada si concentrano il benessere, il lusso e il migliore saper vivere palermitano, nei pressi dei bellissimi giardini subtropicali delle ville Crispi, Gonzaga, Trabia, Bordonaro e Gallidoro, i polmoni verdi di Palermo. Il passeggio sul Viale della Libertà è un piacere per gli occhi: lussuosi negozi, accoglienti caffè golose pasticcerie. Il viale è in asse con l’arteria principale di Palermo, sfocia nella bella piazza Ruggero Settimo, prosegue verso la storica e spagnoleggiante Via Maqueda, incrociandosi ai Quattro Canti con il bel Corso Vittorio Emanuele. In Sicilia, quando un amico è presentato nell’entourage dell’ospite è istantaneamente adottato come amico del cuore, da invitare nelle altre case dove si fa a gara per essere accoglienti e generosi. Si entra così in un vortice di cortesie, talvolta persino imbarazzanti. Impossibile a Palermo metter mano al portafoglio per ricambiare un invito a cena. Dall’ospite non si accetta neppure un caffé. Tutto è offerto con incredibile generosità e si fa fatica pure a ringraziare troppo, poiché i siciliani s’affrettano a confermare “da noi s’usa così”. L’espressione “voi del continente” e “andare in continente” lascia alquanto perplessi. Non si capisce se i siciliani si sentano isolati e con complessi d’inferiorità oppure diversi con l’orgoglio d’appartenere ad un mondo tutto loro, fiero e superiore. Conoscendoli si scopre che sono più europei ed evoluti di tanti abitanti della penisola italiana, specie nelle regioni più lontane dalle Alpi. Nel sangue palermitano ci sono apporti arabi e normanni, nel linguaggio degli aristocratici s’annidano parole francesi e i costumi popolari hanno qualcosa d’andaluso. Altro che “isola”! Palermo significa anche scoperta di piccole chiese e cripte che un turista frettoloso non vedrà mai, salite al tramonto su Monte Pellegrino dai magnifici panorami, corse alla spiaggia di Mondello, affollata, ma con i venditori di eccellenti “panelle” di farina di ceci, passeggiate nel parco della Favorita, gite nella Conca d’Oro, cene eccellenti nei ristoranti di Bagheria. Le miserie di Palermo si trasformano in note di colore, come può accadere anche nella vecchia Napoli, ma senza la sciatteria partenopea. Così una mattinata nel mercato della Bocceria grande, da pronunciarsi Vucciria, con la erre accentata e arrotata, diventa un’esperienza visiva, olfattiva e gustativa indimenticabile. Aggirandosi fra i banchi di quel mercato che sembra un souk arabo, ma ha tutti i colori e i profumi del nostro Mediterraneo, si comprende perché i siciliani abbiano il culto della buona tavola. Le mense siciliane, specie in presenza di ospiti, rischiano di essere uno schiaffo alla miseria, che purtroppo non è una calamità sconosciuta in quest’isola. I primi piatti sono molto saporiti, basta assaggiare la famosa pasta con le sarde o quella con peperoni, melanzane, uvetta e pinoli. Per le carni si punta sull’agnello, ma il re delle tavole siciliane è il pesce, accompagnato dai frutti di mare. In una terra bagnata su tutti i lati da un mare tiepido e pescoso una cucina marinara non deve stupire. La terra offre una ricca gamma di verdure, sicché è molto diffuso l’uso di peperoni, pomodori, cipolle, melanzane con ricchi apporti di olive e capperi. L’assaggio della caponata è da solo un’esperienza unica e, data la complessità di preparazione, solo una massaia siciliana riesce a farla a puntino. Per i frutti, la terra di Sicilia è famosa per i suoi stupendi agrumi, per i fichi, i fichi d’India, l’uva dolcissima e le piccole e rosse mele annurche. Sui dolci occorrerebbe aprire una rubrica a parte. Influenze arabe, ottomane e andaluse affiorano nelle squisite quanto pesanti preparazioni. Cannoli e cassate, elaborati pasticcini mielosi, pinolate e meringhe, canditi, paste di mandorle, fantastiche marmellate e altre leccornie, chiudono normalmente i pasti, anzi i banchetti siciliani. I vini corposi e liquorosi richiedono una lunga siesta, dopo i pasti diurni, in orari piuttosto tardi, come in Spagna. Le cene, più pantagrueliche dei pranzi, si consumano quando le tenebre si fanno più fitte, si attenuano i calori diurni e si può godere di un po’ di brezza. In quelle ore i ristoranti sono sempre affollati e allegri. Tutte le cose poco piacevoli della vita sono liquidate come noie da mettere da parte, in una parola e in siciliano: “camurrie”.
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