Ho compreso perché Napoli è la metropoli italiana dei grandi contrasti il giorno in cui sono salito fino al cratere del Vesuvio. Era un’ideale mattinata di maggio del 1990 dal cielo limpido, infuocato da un sole splendente, ma ancora incapace di arroventare la città come avviene d’estate. La gita scolastica non era la condizione più adatta per osservazioni filosofiche, bisognava allontanarsi dal gruppo vociante e distratto. Andai a sedermi su un ammasso di lava solida proprio sul bordo del cratere, in una condizione che per la sua pericolosità poteva anche destare angoscia e pensieri lugubri, ma con lo sguardo rivolto all’incantevole vista del golfo ebbi quella sindrome che si manifesta con uno strano malessere al cospetto delle opere d’arte o della natura dalla bellezza insuperabile. In basso rividi Pompei, visitata per la prima volta nel lontano 1952 per un’intera giornata dedicata alla religione e all’archeologia. Il superbo Santuario della Madonna del Rosario mi colpì per il contrasto fra la grandiosità dell’edificio di culto, ricchissimo all’interno, e l’aspetto misero e trascurato dei quartieri circostanti. Agli scavi si notava un’organizzazione turistica piuttosto primitiva, ma con risvolti positivi. Una piccola folla di “guide” anziane attendeva i visitatori con evidente ansia di guadagno. Ci assegnarono un vecchietto di nome Giuseppe. Si capì subito che non aveva alcuna preparazione, ma proprio per quella ragione ci lasciava in pace a leggere sulla guida le informazioni sugli scavi e goderci lo spettacolo delle straordinarie rovine della città. Ogni tanto, fra una tappa e l’altra della lunga visita, ripeteva lo stesso ritornello nel suo dialetto: ” non lava ma cenere e lapilli hanno sepultato a Pompei, seguitate a Giuseppe!”. Chi visita Pompei, senza dubbio più e meglio che a Roma, si fa un’idea di quella che doveva essere la vita nel periodo di maggiore splendore dell’impero romano, con all’orizzonte le prime avvisaglie della decadenza dei costumi. Gli scavi hanno riportato alla luce il foro e le terme, il teatro, la basilica, i grandi templi, le case dei nobili, la villa di Cicerone, le strade con gli esercizi commerciali dell’epoca, le opere d’arte, soprattutto i magnifici affreschi caratterizzati dal famoso rosso pompeiano. Il vecchio Giuseppe, abbandonando per un momento il suo ritornello, si animò particolarmente quando ci fece entrare in una “casa” dotata di affreschi licenziosi. Fu l’occasione per apprendere una parola nuova, “lupanare”, per indicare luoghi che noi chiamavamo molto prosaicamente “casini”. Tuttavia, di Pompei rimane soprattutto l’impressionante immagine di quei calchi che riproducono in modo plastico e molto realistico gli abitanti colti dagli spasimi della morte per ustioni e soffocamento, mentre tentavano disperatamente di fuggire da quell’inferno di “cenere e lapilli”. Era l’ora settima (le nostre ore 13) del nono giorno prima delle calende di settembre (il nostro 24 agosto) dell’anno 79 dopo Cristo. Dopo quella tragica data il Vesuvio ha manifestato anche in epoche storiche recenti altre eruzioni con emissioni di ceneri e fumi avvistati persino nella lontana Istanbul. Tuttavia, chi viaggia sulla vecchia ferrovia Circumvesuviana, ormai considerata un ramo della metropolitana di Napoli, si rende conto che un milione di persone vive imperturbabile ai piedi del mostro che i vulcanologi considerano pericolosissimo per le sue caratteristiche di vulcano esplosivo, a differenza dell’Etna che è effusiva e sfoga continuamente la sua furia con eruzioni ravvicinate e colate laviche relativamente controllabili. Portici, Ercolano, Torre del greco, Torre Annunziata, Boscotrecase, Terzino, San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, Somma Vesuviana, S. Anastasia e Barra, cresciute disordinatamente e senza piani regolatori sensati, hanno quartieri che si arrampicano sulle falde del vulcano. Chi sale sul monte si stupisce nel vedere condomini, ville, casolari, con i loro giardini odorosi di limoni, sul limite delle colate laviche. Poi, nell’ultima salita, il paesaggio assume aspetti lunari e il cratere si apre immenso, come un nero occhio minaccioso rivolto verso il cielo. A guardare giù vengono le vertigini e non si comprende come si possa stare tranquilli notando fumarole attive e percependo odore di zolfo, che indicano come quella sia senza dubbio una delle porte socchiuse dell’inferno. Al contrario il magnifico golfo sembra aprirsi placido da Sorrento a Capo Miseno con al largo le stupende isole di Capri, Ischia e Procida e al centro l’immensa metropoli partenopea, con i suoi splendori e le sue miserie, ma soprattutto con la sorprendente carica vitale, la luce inconfondibile del suo cielo, le pretese monumentali da capitale di regno, la vitalità ambigua di un grande porto e la gaiezza di paese rivierasco che conserva ancora angoli tipici da borgo di pescatori. Napoli è in un certo senso entrata a vele spiegate nel nuovo millennio sebbene abbia ancora molto da combattere contro le sue miserie. Col nord è collegata da treni ad alta velocità, l’aeroporto è stato potenziato, ha una nuova metropolitana assai moderna, nel porto stazionano grandi navi da crociera e i turisti prediligono l’escursione a Pompei, nota in tutto il mondo per la sua tragica bellezza. Il sito archeologico è stato molto valorizzato. La visita sempre più è stata arricchita da nuovi scavi restaurati con grande competenza e i reperti esposti nel museo. Guide poliglotte accolgono i turisti che stanno scoprendo le bellezze dell’Italia meridionale, grazie anche alle grandi compagnie che si occupano di crociere nel Mediterraneo, culla delle grandi civiltà umane. Nel corso della storia i paesi che si affacciano sul mare nostrum sono stati funestati a volte repentinamente da grandi catastrofi naturali e lotte insensate fra popoli tra loro tanto simili per razza, radici e culture. Basta ricordare la fine della civiltà cretese, la distruzione di Cartagine, la decadenza della Grecia, la fine dell’Impero romano. In questo elenco impressionante si colloca la terribile distruzione di Pompei. Guardando il Vesuvio odierno che sembra una placida, innocua e verdeggiante altura al cospetto di uno dei golfi più belli del mondo bisogna pregare Dio che le masse infernali di gas velenosi e rocce liquefatte dal calore sotterraneo non trovino mai più sfogo dal cratere del vulcano.
Umberto Mantaut