Mio caro amico è troppo tardi. Siamo in una severa aula della Facoltà di economia della Sorbona, nell’inverno del 1958. Dopo la firma del trattato di Roma, 25 marzo 1957, anche l’Italia, uno dei paesi fondatori e sostenitori più convinti della esigenza di una forte Comunità Economica, pensò fosse necessario puntare sui giovani per formarli come cittadini europei integrati con la più ampia prospettiva di arrivare ad una unione che non fosse solo meramente mercantile. Si concessero borse di studio in una sorta di Erasmus ante litteram. Eccomi dunque in un collegio a Sévres, sobborgo di Parigi, per corsi di economia presso la Sorbona. Abituato ai baroni della Università italiana, i quali tuttora concedono col contagocce le loro tre lezioncine settimanali di 45 minuti l’una, quando non le affidano agli assistenti, mi colpì la condotta degli insegnanti francesi. Costoro sono a disposizione a pieno tempo degli allievi, tengono i corsi, ma curano particolarmente il dialogo con i ragazzi, applicando in pieno i sani principi della maieutica socratica. Da Sévres, per raggiungere la facoltà dovevamo viaggiare un’ora, prima su un autobus, poi sul metrò da Pont de Sévres al quartiere latino, cambiando tre volte linea. Ebbene, spesso erano i professori a venire al collegio per le lezioni, intrattenendosi poi fino a tarda ora in discussioni con gli allievi. Fra i compagni mi colpivano particolarmente le ragazze tedesche. Altere, algide e preparatissime, le giovani tenevano tutti in scacco. Parlavano un francese impeccabile, appreso senza mai essere state in Francia, ma in scuole severissime in Germania. Mi canzonavano per il mio accento del Midi, come dire da terrone. Quando i ragazzi i fiamminghi e i valloni incominciavano a litigare fra loro, le tedesche asserivano che il Belgio non esiste. Agli olandesi rimproveravano gli errori in tedesco, ma quelli venivano da Rotterdam, dove alla fine del lungo viale Coolsingel spicca la statua di Zadkin, una sagoma umana sventrata con le braccia rivolte al cielo, ci si domanda se per chiedere pietà o maledire, ricordando il bombardamento a tappeto hitleriano. Dunque, la integrazione appariva già allora alquanto problematica. Da bambini tutti noi ragazzi avevamo patito per la guerra e, quantomeno, notare la presunta superiorità di quelle campagne venute da Bon, Coblenza e Francoforte, irritava non poco. Una sera, al termine di una dotta lezione di economia politica, domandai al professore quali prospettive poteva avere la CEE, al momento solo MEC, mercato comune europeo, di trasformarsi in una sorta di Stati Uniti di Europa. Allora il saggio mi disse: “mon cher ami il est trop tard”.
Umberto Mantaut