La verità è che montare polemiche a Ladispoli, senza impegnarsi, è fin troppo facile.
Il confine è molto sottile tra “non avere niente da fare” e “contestare questa amministrazione”, che nel calderone mediatico ladispolano, corrisponde a supportare una o l’altra fazione politica, nell’illogicità di interessi personali che muovono persino i pensieri.
Un calderone dove gli “chef” sono molteplici, a scegliere gli ingredienti di quello che è “giusto o sbagliato” dire, preferendo “il compromesso” (q.b.) e un pizzico di “politically correct”, per la ricetta finale.
Così cala il silenzio, quando si decide di fare intervenire uno chef romano, esperto di cucina kosher e giudaico romanesca, nella discussa piazza Almirante, dedicata ad uno dei promotori delle leggi razziali fasciste.
Una “cancel culture” tanto cara a questa destra, (localmente tradotta con un “nuncerompelico**ni) voluta dalla Meloni e compagnia bella, dove chi denuncia questo stato di cose, è messo all’indice anche solo per aver mosso un pensiero del genere, esagerato, fazioso. “Ancora con queste leggi razziali?”
Purtroppo, se vogliamo continuare a preferire un mondo diverso da quello che ci raccontano, dobbiamo anche continuare a provare sdegno per il cattivo gusto con cui si compiono queste operazioni.
Operazioni che, per la complessità di motivi, non dovrebbero essere attaccate e che, appunto, trovano spesso il silenzio di tutti, dove altrimenti il vittimismo diverrebbe la loro arma propagandistica: vedete, ce l’hanno tutti con noi!
Ideali e sentimenti che, ancora una volta, a Ladispoli vanno a farsi friggere.