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bocca della verità

La bella asiatica

Anche nelle peggiori sventure è sempre bene non perdere la voglia di sorridere, poiché aiuta a risollevarsi alla svelta. L’autocommiserazione e la rassegnazione fatalista sono proprie dei pessimisti e portano davvero male. Nel lontano 1957, ricordo che tornando fra i compagni di studi dopo un terribile attacco influenzale giustificai l’assenza dicendo di avere passato una settimana a letto con un bella asiatica. Naturalmente nulla a che vedere con l’immagine di una ragazza con gli occhi a mandorla. In quell’infausto inverno imperversò nel mondo una pandemia aviaria, trasmessa da anatre cinesi, che solo in Italia spedì al creatore 30.000 persone, stranamente quasi tutte giovani, molti militari di leva. Personalmente, avendo compiuto 20 anni avrei volentieri fatto il servizio militare. Sapevo che era dura all’inizio, ma rappresentava un’esperienza importante della vita di un giovane, per uscire dal guscio, socializzare e abituarsi a un minimo di disciplina. La motivazione del mio congedo anticipato era “primogenito di madre vedova con fratello cieco e ava ultrasettantenne”. Mancava la sorellina, ma anche lei come tutti gli altri ebbe la “asiatica” con la febbre a 41. In quel tempo lavoravo e studiavo contemporaneamente, avevo attività precarie e frequentavo l’Università a Torino. Ancora convalescente e circondato da gente che tossiva da cani passavo ore su tram affollati, lavoravo in un laboratorio chimico di una scuola e andavo alle lezioni in facoltà. Solo il sabato sera andavo a teatro o al club alpinistico con annessa sala da ballo e la domenica sul treno della neve per Bardonecchia, carico di sciatori. Giornali e radio parlavano molto della epidemia da A/H2N2, ma senza enfasi e senza terrorizzare nessuno. Si davano consigli, ma di mascherine si parlò solo a carnevale e se un virologo avesse chiesto un “lockdown” lo avrebbero ricoverato al manicomio. Nel ’57 governarono a turno Segni e Zoli della DC, non proprio degli sprovveduti e sicuramente non “negazionisti” di fronte a una epidemia micidiale, ma a loro non venne mai in mente di costringere agli arresti domiciliari l’intero popolo italiano e soprattutto bloccare l’economia che allora andava a gonfie vele. L’Italia aveva già avuto l’amara esperienza della “spagnola”, anni 1918-20, influenza H1N1, chiamata così perché citata per la prima volta dalla stampa iberica, ma quel regalo arrivò impacchettato dalla Cina, almeno secondo studi presso l’Istituto Pasteur di Parigi. Fu una specie di bomba bacteriologica che eliminò 30 milioni di persone nel mondo, Nel 1968-69, l’Italia non ebbe solo la sventura dei moti studenteschi, ma anche l’epidemia detta Hong Kong, immancabilmente cinese, siglata A/H3N2, con 20.000 decessi annui. Di tragedia nazionale nessuno parlò all’epoca e la economia italiana iniziò a declinare dal ‘68 non certo per colpa del virus. Dunque, la storia ci offre esempi di pandemie con le loro origini puntualmente asiatiche, le varianti, i picchi, le ondate e, come tutte le cose del mondo, una fine, anzi un lieto fine quando se ne vanno da sole o per la scoperta di un opportuno vaccino. Con questo maledetto “corona virus” non se ne può più. Ci bombardano giorno e notte di statistiche discutibili, di pareri di esperti in disaccordo fra loro, di decreti restrittivi demenziali, diffondono paure ed incubi, hanno tolto il diritto allo studio e il dovere di lavorare, per salvarci da morte per infermità ci condannano alla morte civile. Alla pena per le vittime che ormai si contano in tutte le famiglie, per fortuna anche con moltissimi guariti con farmaci relativamente facili da reperire, si aggiunge lo spaventoso dissesto economico che ha colpito il nostro paese già fragile, indebitato e da decenni governato da individui inqualificabili, di tutte le esecrabili parrocchie politiche. Siamo al punto che ci sia poco da sperare non tanto nel salvatore della patria, che Dio ce ne scampi e liberi, ma in una compagine di competenti, onesti e dediti al bene della nazione. Abbiamo tutti capito che il problema di queste ciurme è solo la ricerca dei velluti rossi delle poltrone dove depositare a lungo le loro vergognose natiche. Eravamo abituati alla avidità dei politici nell’approfittare del denaro sonante dei contribuenti, ma ora si assiste a piani di spartizione dei debiti, camuffati da Recovery Fund o fondi di recupero, che dovremmo contrarre se mamma Europa, come una vacca da mungere con animo da strozzina, ci allungherà le sue mammelle avvezze ad allattare parassiti a Bruxelles e nelle altre capitali, con Roma caput mundi. Qualcuno è sul punto di dire basta? Sdoganato ufficialmente il “vaffa” come grido di guerra il popolo si decida a urlarlo a squarciagola ai quattro venti contro il covid e queste mascherine da carnevale, diamo voce alla bocca della verità.

Umberto Mantaut

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