Negli ultimi decenni molte note compagnie di bandiera, per non parlare delle aerolinee private, hanno chiuso i battenti, oppure abbassato le “ali”, non appena i loro bilanci hanno iniziato ad andare in rosso o a sfiorare il rosa. La nostra “gloriosa” Alitalia, imperterrita ha continuato a mandare in fumo miliardi di soldi pubblici sulla scia bianca, che non vuol significare virginea, dei suoi jet. Era un carrozzone indecente e tutti lo sapevano, specie i politici che in quel pozzo senza fondo collocavano finanze pubbliche, favorendo potenziali elettori, amichetti, raccomandati e altri sciagurati, tra l’altro spesso del tutto incompetenti, a rendere ancora più inefficiente una compagnia in perdita irrimediabile. Ora, superato ogni limite, non si è più ritenuto utile e politicamente vantaggioso salvarla. All’italiana si è cambiato il nome con le forbici. L’Alitalia ha perso parte delle ali e l’Italia ha perso Lia, non Maria per Roma, neppure malia, ma follia. Ora si spera che ITA e i suoi dirigenti abbiano saputo “capare”, detto alla romana, fra il personale da assumere in ITA le persone più qualificate e meno “scioperate”. Infatti, senza infierire sui “santi” lavoratori e sui “beati” sindacati, non si dimentichi che molto del fallimento si deve a disservizi, ritardi cronici, cancellazioni e scioperi continui, negatività non solo imputabili agli strapagati dirigenti a terra. Pare che Alitalia continuasse a mantenere sedi e personale costosi in scali non più serviti dalla compagnia da mesi e in città dove volava una volta alla settimana teneva un apparato che neppure dieci voli al giorno con relativi biglietti cari avrebbero potuto coprire. Non si capisce bene come ITA possa rappresentare alla grande l’Italia con meno aerei in servizio e meno tratte operative. Con la concorrenza spietata delle compagnie low-cost dovrà cercare di attuare una politica tariffaria opportuna. Se continuerà come Alitalia a tenere alti i biglietti e bassi i servizi, anche ITA si trasformerà in un altro carrozzone italico. Negli ultimi tempi, per la verità, dimostrando che si può, Alitalia aveva cambiato comportamenti. I voli erano puntuali, meno scioperi, più cortesia, tariffe contenute, ma ormai la situazione era precipitata, fortunatamente non gli aerei, quelli sì noti per l’ottima manutenzione. Secondo logica continuava ad avere troppa gente da mantenere fra quella propriamente detta dell’aria e quella a terra. Un poco ha anche influito una vecchia presunzione, magari giustificabile nei primi anni dell’aviazione civile. Piloti e assistenti di volo erano considerati ed anche si credevano persone speciali, molto qualificate, ed era vero, ma senza meritare titoli nobiliari, come del resto neppure titoli vagamente riduttivi come “autisti di autobus, detti airbus” o camerieri di bordo, sia pure in livrea. Poco per volta questa categoria ha assunto quasi antipatici atteggiamenti di superiorità che non hanno giovato al servizio e alla fama dell’Alitalia. Un bravo pilota non è comunque un principino, e l’hostess non è una baronessa. Le compagnie dalle tariffe incredibilmente basse, mi è capitato un volo Roma-Brindisi andata e ritorno per soli 19,90 euro, evidentemente sanno far quadrare i conti in altro modo. Un solo, modesto e solerte assistente di volo su una tratta di 50 minuti, supplementi cari per eccessi di peso nel bagaglio, vendite a bordo di merce carissima, consumazioni a pagamento e non a buon prezzo, insomma, si spende poco ma poi non bisogna cascarci. Che Alitalia abbia chiuso non è una cattiva notizia, era un malato terminale per il quale, quando spira i parenti dicono “ha finito di soffrire”. Per la compagnia aerea soffrivano i contribuenti, ma sempre di sofferenze si trattava. Per farci una risata, racconto cosa ho vissuto su un lungo volo notturno tricolore. Un’anziana accanto a me, ad un tratto mi disse di sentirsi poco bene. Le occorreva un bicchiere d’acqua per prendere una pillola curativa. Feci cenno a una hostess chiedendo acqua per la signora. Disse, vengo subito. Dopo un quarto d’ora, passando e ripassando a vuoto, le ricordai la cosa e mi disse sgarbatamente, non vede che ho tanto da fare. Dopo altri lunghi minuti si accese la luce di “allacciate le cinture” e il pilota disse di restare seduti per le turbolenze. Mi alzai comunque e andai in fondo al velivolo nella cucina. Tre hostess la occupavano. Una dormicchiava, due parlavano fittamente dei fatti loro, ma una di loro con la testa mi indicò seccata la bottiglia e i bicchieri di plastica. Con il bicchiere pieno in mano, barcollando, incrociai nel corridoio la hostess scortese che ancheggiava come fanno certe ridicole indossatrici. Le dissi: “signorina, non andiamo a Miami e la passerella per missmondo è già piena di concorrenti, le devo ricordare che lei è solo una cameriera, anzi, ora vorrei subito uno di quei sacchetti speciali, qui si balla troppo e ho davvero voglia di vomitare”.
Umberto Mantaut