Peccato che oggi non ci sono più tante farfalle”, lamentava sconsolata un’amica che la scorsa estate era stata sul Pollino e aveva visitato il mio piccolo Museo Laboratorio della Fauna Minore dedicato agli insetti e alle mie farfalle, una vera delizia per gli occhi per chi imprenda anche ad un fugace approccio con questi protagonisti di Madre Natura. I cambiamenti climatici con i frequenti anticipi di primavera mostrano questi nostri delicati animaletti già alla fine di febbraio, possiamo già vederli svolazzare, affannati, per arricchire fiori innumerevoli col seme della fecondità e della diversità.
Un recente, puntuale studio a livello globale, pubblicato sull’ autorevole rivista “Environmental health perspectives”, stima reale ciò che lamentava la succitata amica, e che si traduce nel fatto che oggi purtroppo la gran parte delle colture riceve un’impollinazione non ottimale proprio a causa della limitata abbondanza e diversità degli insetti impollinatori. La storia di tale incipiente, infausto “Armageddon”, racconta che la produzione agricola di molti cibi sani, come frutta, verdura, legumi e noci (ma il servizio ecosistemico d’impollinazione produce anche semi oleosi e spezie, incluse colture a caffè, cotone, ecc.) si stia riducendo proprio a causa della carenza d’impollinatori animali, e che esiste un diretto collegamento tra questa perdita e la salute umana a livello globale. D.Goulson, Università del Sussex, scrive che stiamo consumando troppe colture impollinate dal vento – grano, riso, mais, orzo – che sono ricche di carboidrati ma relativamente povere di nutrienti. E questo causa “epidemie” d’obesità, malattie cardiache, cancro e diabete in tutto il mondo, quando specie in alcuni Paesi, come India, Cina, Russia e Indonesia, carenza d’impollinatori e dei predetti nutrienti, insieme a diete scorrette e poco esercizio fisico, stanno provocando la morte di circa 500 mila persone all’anno. I miei cari lepidotteri, diurni e notturni, gli imenotteri (vespe e api), i ditteri e gli altri “pronubi” già da tempo stanno soffrendo a causa d’una nutrita pletora di pressioni antropiche, dirette e indirette, chi scrive ne ha già parlato in precedenti note dedicate a tali problemi. La stessa agricoltura intensiva causa perdita di biodiversità, cambiamento dell’uso e degrado del suolo, elevati consumi d’acqua dolce e diffusione di dannosi pesticidi, contribuendo significativamente allo stesso cambiamento climatico in atto. Pertanto, continua Goulson, coltivare cibi più nutrienti e con minore impatto ambientale è diventata una delle grandi sfide del nostro secolo: gli insetti impollinatori sono invero più efficienti nel fornire polline rispetto al vento e all’autoimpollinazione, il che “aumenta il successo della fecondazione e migliora i semi e l’allegagione ( = transizione dell’ovulo/ovaio al frutto/seme), con conseguenti maggiori rese”; inoltre tali insetti migliorano l’impollinazione incrociata tra piante diverse, aumentando la diversità genetica limitando la consanguineità, tutte cose non di poco conto per l’incremento della biodiversità, e che possono anche diventare un vantaggio per gli stessi agricoltori.
Eppure, gli impollinatori selvatici sono sempre più minacciati, mentre, come si accennava prima, i cambiamenti dell’uso del suolo stanno fratturando, restringendo e degradando i loro habitat, riducendo le aree disponibili per la nidificazione e la possibilità di migrare come strategia d’adattamento in un paesaggio sempre più sconnesso e problematico: ne va di mezzo anche la diversità delle piante da fiore e loro fioritura, causando quello che tecnicamente viene chiamato “stress nutrizionale”. Anche le api, come probabilmente già sapete, hanno i loro problemi, e lo studio calcola che non sarebbero in grado di compensare le perdite dei loro “colleghi” impollinatori selvatici.
In questa importante e dettagliata analisi, scienziati di tutto il mondo hanno dimostrato che la protezione degli insetti impollinatori non è solo una questione ecologica o ambientale, ma ha anche implicazioni significative per la salute umana e il benessere delle nostre economie, ripristinando e conservando gli habitat naturali, incrementando il numero e le specie dei fiori (evitando di rasare a zero maniacalmente erbacee fiorite in ogni dove, lo dico soprattutto agli amministratori locali….) e riducendo l’uso dei pesticidi neonicotinoidi.
Trattasi d’una sfida enorme, alla portata soprattutto dei decisori politici, che devono essere informati al più presto della decrescita degli impollinatori animali rispetto alla crescita della popolazione umana: un fenomeno globale che sta peraltro portando a maggiore inquinamento, perdita di biodiversità e cali nella produzione alimentare, tutti eventi che sarebbero sicuramente fatali per milioni di esseri umani.
Valentino Valentini