L’Italia è uno strano paese e la nostra lingua è lo specchio dei tempi. Ogni periodo storico è caratterizzato dall’imperversare di una parola chiave, dovremmo dire password per essere moderni. Spesso è una paroletta in apparenza poco importante, usata da tutti e in tutti i contesti, spesso senza che si rifletta sul suo significato effettivo. Nel famigerato ’68 e per tutti gli anni ’70 imperava il “cioè”. Sui vocabolari si spiega che “cioè” significa: intendo dire, vale a dire, in altre parole, ossia, o meglio, piuttosto. In quel periodo, agli esami di maturità, al termine di mesi di okkupazioni, autogestioni e scioperi studenteschi, i candidati non sapendo che dire di fronte a domande anche semplici, poiché agli esaminatori era stato ingiunto di mettere a suo agio il giovane stressato, il tipo inanellava una serie di “cioè” e al cinquantesimo era dichiarato maturo e gli consigliavano pure la prosecuzione degli studi, cioè, la iscrizione ad una facoltà. Nel decennio ’80, il paese sembrava entrato in una nuova era che richiedeva una certa complessità pure nell’esprimersi, sicché tutti, specie i politici, veri guru del parlar chiaro, si abbandonarono alla lunga e brodosa espressione “ cioè, al limite, nella misura in cui”, senza mai stabilire il limite e tantomeno la misura. Negli anni novanta si ripiegò sul “niente”. Si rispondeva subito con “niente” di fronte a qualsiasi domanda. Era esilarante andare al ristorante. Signora, che posso servirle? Niente, mi porti spaghetti alle vongole, fritto misto, patate fritte e tiramisù. Anche prima di certe presunte battute poco diplomatiche si videro in giro moltissime culone. Finalmente col nuovo secolo si trovò il liberatorio “assolutamente sì”, spesso seguito da un “anzi no”, specie se la domanda era :”trova educati i tipi che tirano i sassi dai cavalcavia?”. Si giunge al bisestile anno 20 di una sfiga incredibile. Stiamo chiusi in casa, spesso in quattro in un monolocale con angolo cottura e mini bagno. Niente parenti in visita, e forse è un bene, niente amici e ci dispiace tanto, usciamo dall’analfabetismo di ritorno leggendo qualcosa e ci ammazziamo di televisione. Ecco allora che si scopre la parola del momento: “guardi”. Fate attenzione. Specie i politici e i sedicenti esperti, ormai solo ed esclusivamente in virologia, sottoposti a pressanti domande da parte degli invadenti conduttori, che quasi mai poi li lasciano finire di parlare, esordiscono con un “ma guardi”, contratto in “guardi” dai più frettolosi. Dunque professore: “come pensa si diffonda il virus?”. Ma, guardi, è talmente piccolo che non si può vedere, sicché non si sforzi, ma si ricordi di tenere le mani strette ai lati della museruola, poiché può passare dai lati, essendo non solo più piccolo di un insetto, ma persino di un bacillo. E’ quasi etereo e se entra nel naso poi scende giù e sono guai. Allora dottore che possiamo fare?. Guardi, sulle pagine gialle alla voce “pompe funebri” c’è un’ampia scelta di servizi e, guardi, ci sono finanziarie che fanno convenientissime rate a zero interessi, tanto, guardi, poi pagheranno i pochi sopravvissuti.
Umberto Mantaut