Chi volesse riprodurre su un plastico il paesaggio estivo della Polonia avrebbe bisogno di pochi ingredienti: un grande piano ondulato vagamente quadrangolare, tre barattoli di vernice con il verde scuro per i boschi, il verde tenero per i pascoli e il giallo oro per le messi, più una manciata di casette linde ed ordinate, sparse lungo strade rettilinee oppure raggruppate intorno ai campanili a formare villaggi laboriosi e silenti. Solo nei pressi dei grandi agglomerati urbani l’orizzonte polacco si verticalizza in una selva di ciminiere fumogene che oscurano il cielo dei grandi quartieri dormitorio dai palazzi spettrali, lungo interminabili prospettive di stile sovietico. La Polonia, come tutti i paesi dell’oriente europeo, non ha avuto per anni alcun rispetto per l’ambiente. Nonostante i recenti cambiamenti politici e sociali la riconversione degli impianti si presenta difficile e costosa. Gli ambientalisti hanno parecchio da meditare sull’argomento. L’edilizia e le grandi opere pubbliche hanno subito l’impronta di una pianificazione dettata da senso pratico e ambizioni populiste, esteticamente orripilanti, e viene il sospetto di una volontà punitiva e mortificante nei confronti di una nazione di nobili tradizioni e di cultura d’alto profilo. Per fortuna le città storiche della Polonia hanno saputo respingere fuori delle loro mura gloriose l’assalto brutale del cemento e hanno gelosamente conservato il carattere di centri di riferimento ed irraggiamento dell’antica cultura, profondamente radicata nella lingua nazionale e nel cattolicesimo. Cracovia, più d’ogni altra città polacca, ha difeso le sue specificità di città d’arte, faro di civiltà mitteleuropeo e capitale morale e culturale del paese. Pertanto, fin dal lontano 1977. L’UNESCO la colloca nell’elenco dei siti polacchi da proteggere. E’ la città che rappresenta la Polonia, come Toledo in Castiglia, Dresda in Sassonia e Firenze in Toscana che sono le culle delle civiltà di Spagna, Germania e Italia. La Vistola abbraccia con i suoi meandri il centro storico dominato dalla collina del Wawel, incoronata dai monumenti più insigni della Polonia: il Castello dello Zamek, la Cattedrale dei Santi Venceslao e Stanislao e le antiche mura turrite. Per entrare in città si attraversano i ponti e si esita lungo i grandi viali e i giardini fioriti che abbracciano tutta la cinta muraria dello Stare Miasto, città vecchia del secolo XIII, la quale, partendo dalla centralissima piazza del mercato, Rynek Glòwny, è nell’insieme un unico grande museo all’aria aperta. L’atmosfera che accoglie il visitatore è talmente rarefatta che non si sa da dove cominciare né dove guardare. La totale estromissione dei veicoli a motore permette di udire i passi sul selciato, le voci dei passanti, il garrire delle rondini che sfrecciano intorno ai neri campanili gotici, l’insolito rumore delle carrozze trainate lentamente dai possenti cavalli da tiro. Le facciate degli splendidi palazzi si allineano festose lungo le vie, con i loro intonaci pastello, le ringhiere di ferro battuto, le cascate di petunie e gerani. Ombre bizzarre si protendono sulle immense piazze della città, gremite di folla cosmopolita che si muove in rispettoso silenzio, ammirata da tanta bellezza. In questa straordinaria città si fondono le culture che si sono sviluppate negli angoli più remoti del continente europeo. C’è l’austera severità del mondo nordico, la durezza del gotico mitteleuropeo, lo splendore del rinascimento italiano, l’incombente religiosità cattolica polacca, il subdolo ambiente del bazar orientale, ciò che resta della vivace presenza ebraica, quasi cancellata dall’olocausto, qualcosa di romanico e qualcosa di barocco. Dedicare a Cracovia solo pochi giorni è un vero peccato. Dopo aver esaurito il repertorio strettamente turistico e culturale, visitando chiese, musei, palazzi, chiostri, collegi e monasteri, si dovrebbe oziare senza fretta o programmi per assaporare la qualità della vita in questa capitale dell’arte, con l’ambizione di divenirne cittadini onorari. Purtroppo non è sempre possibile adottare o essere adottati da una città. Bisogna dire addio anche a Cracovia, ma prima di lasciare a malincuore lo splendido complesso storico, vale la pena spingersi nei sobborghi orientali per vedere ciò che non dovrebbe mai essere perpetrato ai danni di una città. I “compagni” sovietici hanno sviluppato un mostro urbanistico per oltre 200.000 abitanti, stipati in blocchi allucinanti di case popolari tutte uguali e in mezzo ad un complesso gigantesco d’acciaierie fumose ed inquinanti. Questo luogo orribile si chiama Nova Huta ed ovviamente è diventato poi un centro attivissimo della ribellione polacca contro il regime. Qui è stata portata da Roma una pietra del sepolcro di Pietro e su quella pietra è stata costruita l’Arca Pana, la modernissima parrocchia del quartiere, consacrata personalmente dal Papa polacco nel 1977. L’Arca Pana ha una strana forma di nave a tre piani. E’ arricchita da gruppi scultorei moderni, un esempio notevole, anche se discutibile, d’arte contemporanea ed è un punto di riferimento per i fedeli polacchi. La religiosità del popolo è tangibile in ogni luogo, non solo per la profusione di luoghi di culto, ma per la cura con la quale sono mostrati al visitatore e la compunzione tutt’altro che formale dei fedeli, rivelatrice della profonda connessione fra la fede e la vita di tutti i giorni.
Umberto Mantaut