La mascherina ci tappa il naso e altera la voce, ma gli elastici ci tendono l’orecchio, mentre a occhi sgranati osserviamo come si è ridotto il covidmondo. Ovunque si sente tossicchiare e dopo lo spettacolo di ottobrate dai colori autunnali stupendi vediamo i cieli grigi di giornate piovose e ventose. Non sappiamo come vestirci. Sudiamo in strade soleggiate, svoltiano in vie esposte alla tramontana ed ecco quel pizzicore in gola sospetto. Si chiama raffreddore, un morbo solo apparentemente minore, della famigerata famiglia “Corona”. Da anni i saccenti esperti in virologia sono alla ricerca vana di un vaccino contro il cimurro degli esseri umani. Colpisce regolarmente ai primi freddi e per alcuni, afflitti da allergie, anche in altri momenti, sempre a tradimento. Può portare complicazioni passando dalle prime vie respiratorie ai bronchi e ai polmoni, qualcuno ci lascia pure la pelle. Ben lo sperimentarono gli indigeni americani quando i colonizzatori arrivarono con il moccio al naso fra genti senza difese immunitarie. Intere etnie furono sterminate dall’Alasca alla Terra del Fuoco. Con il raffreddore, da noi, dopo un paio di giorni compare la febbricola intorno a 37,5. Oggi, in tempo di covid, il nostro popolo bue raffreddato si divide rapidamente in tre categorie. Le aquile che la vedono lunga si ritirano al calduccio di casa, prendono i rimedi della nonna e dopo circa una settimana guariscono. I cani randagi continuano ad andare in giro ad infettare il prossimo con il pulviscolo micidiale dei loro starnuti. I conigli pavidi chiamano il 118. Arrivano a sirene spiegate le ambulanze, inchiodano alle porte del pronto soccorso. Si rischia il tamponamento, poiché c’è già un ingorgo da farsi il segno della croce rossa. Per il tampone vero si attendono ore e, covid o non covid, medici stremati e con il terrore di essere denunciati per errori reali o presunti, mettono i “sintomatici” in osservazione su letti, barelle e materassi di fortuna. Non si capisce bene, come e perché, in tanta confusione, molto simile al panico per un petardo scambiato per bomba a mano, esista un sistema infallibile di rilevazione dati. Prima di sera bisogna andare in onda a reti unificate con le statistiche. Tanti tamponati, tanti positivi, tanti ricoverati, tanti passati a miglior vita. La cena ci va per traverso e se qualcuno tossisce l’intera tavolata va in crisi, si chiude il congiunto nello sgabuzzino delle scope e si caccia via l’ospite appestato. Scherzare sul nuovo virus mortale del ceppo Corona, fuoriuscito da laboratori cinesi impegnati in ricerche misteriose e forse in studi sulle guerre bacteriologiche può sembrare cosa irriverente e poco seria, ma la gente deve essere aiutata a scorgere una luce in fondo al tunnel, a non lasciarsi manipolare, a sperare, a superare la tragedia con il sorriso suscitato da una battuta, sia pure di dubbio gusto. Sta avanzando una nuova pandemia “virale”, un terrore cieco, una isteria collettiva, una sciagura planetaria. Bisogna reagire e convivere col malanno che seguirà il suo fatale corso e magari scomparirà prima che si produca il vaccino, come è avvenuto nella storia per ben peggiori pestilenze. Stiamo arrivando al punto di vivere da malati (di mente) per morire sani. COVID, Così Ormai Verremo Inesorabilmente Distrutti.
Umberto Mantaut