Se il Governo parla di Catasto il popolo trema, si prepara a piangere sempre più forte, mentre dovrebbe ridere a crepapelle. L’inventario delle proprietà immobiliari esistenti sul territorio nazionale nasce sostanzialmente per esigenze fiscali. La parola nasce già brutta per le origini greche. Katástichon che vuol dire lista, in odore di prescrizione, e poi romane da catasticum, ossia un inventario di contratti, per individuare i beni e i loro proprietari, ovviamente per tassarli. Anticamente si tassavano solo i terreni come fonti di reddito, poi, in Italia, dal 1865, si passò a tassare anche i fabbricati. Nello storico momento dell’Unità d’Italia il legislatore si trovò di fronte ben 22 differenti catasti. Forse non c’era proprio da ridere, ma sicuramente da sorridere. Basti dire che nel Lombardo-Veneto vigeva un catasto particellare di ispirazione austriaca con perfette mappe, mentre nel Napoletano il catasto era solo descrittivo, come dire “solo a parole”. I terreni si misuravano con unità di misura medievali e locali, non certo in ettari, e le tasse si calcolavano in franchi, scudi, soldi piemontesi o lire genovesi. Oggi persino una signora bene direbbe: “un casino”. Nel 1864 si tentò di provvedere con una legge detta del “conguaglio provvisorio”, così italianamente provvisorio da durare fino al 1886, poiché noi andiamo avanti a ventenni abbondanti. Si basava sulle denunce degli stessi proprietari, e qui si inizia ridere, anzi sghignazzare, soprattutto perché la legge dell’86 era pomposamente definita “di riordinamento e perequazione”. Fino al 1939 si procedette a tentoni con tentativi per aggiornare le “tariffe” e adeguare le tasse ai cambiamenti economici d’epoca. Finalmente con legge 29/06/1939 n. 976 giunge la agognata “Revisione generale di tutti gli estimi”. Intanto per i terreni si inventarono due tasse: una sul reddito dominicale (da dominus, padrone) e l’altra sul reddito agrario, per tassare gli investimenti fatti per modernizzare i sistemi di coltura. Gli agricoltori emigravano in massa verso le Americhe, perché la “terra” da noi significava miseria, ma lo Stato doveva perseguitare i padroni e anche i capitalisti, ossia i pochi che abbandonando la falce compravano con “capitali agrari o di esercizio” una moderna falciatrice in vista delle avveniristiche mietitrebbiatrici da milionari. Sempre nel “fecondo” 1939 nasce anche il Nuovo Catasto Edilizio Urbano, NCEU, con le leggi n. 652 e 1249. Qui viene il bello! Gli immobili, ovvero le costruzioni, furono “qualificate” in cinque categorie da A ad E, ma per non dilungarci troppo fermiamoci alla A, come “abitazione”. Ricordiamoci che all’epoca parlavano e legiferavano solo i “gaglioffi” fedeli al Dux. Costoro, non ricordando che esiste il metro quadrato, unità di misura troppo rigida e precisa, quindi non adatta alla fluida mentalità italica, stabilirono che la consistenza delle abitazioni doveva essere misurata il “vani utili”. Infatti, pare ovvio che non si debbano tassare i vani inutili, tipo “Camera” dei deputati sotto una dittatura, e a volte dannosa in tempi ancora più bui di democrazia. Definizione di vano utile: ”spazio chiuso da muro e pareti, dal pavimento al soffitto, avente destinazione principale nell’uso ordinario dell’unità immobiliare”, si parlò anche di “dotato di luce propria” per non dire finestra che era troppo semplice. Chiaro no? Segue la distinzione: vani principali (camere, salotti, cucine), accessori diretti anche senza luce (bagno, dispensa, ingresso, corridoio), accessori complementari bui (cantine, soffitte, locali di sgombero). Il calcolo della consistenza totale di una unità immobiliare, leggi casa di abitazione, portava ad amenità tipo vani 7,5 per chi magari abitava in tre anguste stanzette, cucinino, cesso, corridoio, ingresso, cantinetta, ricovero per attrezzi, giardinetto tipo porcilaia, terrazzino. Infatti, misura oggi, misura domani, badando bene ad ignorare sempre la superficie usando gli indiscutibili mq, si procedette per frazioni ed arrotondamenti. Le “tariffe” in base alle quali tassare i “padroni di casa”, ossia la maggioranza dei cittadini italiani, furono calcolate a campione su unità immobiliari tipo, in base ai canoni di affitto o ai benefici fondiari, ossia l’interesse sul valore di mercato dell’immobile in aree dove non esistevano locazioni. Tutto, s’intende, in lirette d’anteguerra e con tempi di “lavoro” di censimento catastale durati decenni. Quindi, successivamente, per le periodiche “revisioni degli estimi” si ricorse a rivalutazioni per correre dietro alle svalutazioni della “lira italiana” durante gli alti e bassi della economia postbellica. L’avvento dell’Euro, con la E maiuscola trattandosi di una rispettabile valuta forte, il catasto italiano è entrato in una fase da barzelletta sconcia. C’è da ridere pensando ai poveri notai (non certo per le loro parcelle) quando devono stabilire il valore di una casa oggetto di compravendita, attraverso calcoli da cervellone cervellotico, ai fine di calcolare l’imposta di registro dell’atto, con la complicazione, poi, se si tratta di prima o seconda casa. Per ridere infine con la pancia in mano conviene entrare nel campo del cronico abusivismo edilizio. Basta fare un giretto nelle strade del cosiddetto “agro”. Case da “contadino”, pardon, imprenditore agricolo, non se ne vedono più. Dove esistevano una A6 (abitazione di tipo rurale di due locali senza servizi igienici) con una C6 (stalla), praticamente esenti da tasse, si ammira oggi una villa di 12 stanze, tripli servizi, uno con vasca per idromassaggio con rubinetti placcati oro e piscina olimpica (l’ex abbeveratoio delle mucche). Il tutto dovrebbe essere “censito” come A8 (villa) o almeno A7 (villino). Col “cavolo” che qualcuno ha informato il catasto della piccola variazione! Ogni tanto si parla di “aerofotogrammetria”, leggi aereo con macchina fotografica, per rifare le mappe rilevare gli abusi, ma pare che dopo l’atterraggio nessuno porti le foto negli uffici catastali. Le ruspe per abbattere le case abusive sono ferme per mancanza di carburante e le teste dei responsabili sono bloccate dalla mancanza di volontà o altri motivi meno confessabili. Lo Stato, prima di tassare i già tassati, forse vuole solo tentare di stanare o far emergere gli abusi. Il terrore di veder massacrare di nuove tasse le nostre povere case in regola, comprate con anni di sacrifici è già stato allontanato di cinque anni, ma per rivedere gli “estimi” ce ne vorranno più di venti. Dunque stiamo tranquilli. E’ più realistico pensare che la paura di veder distrutto il frutto dei nostri stupidi risparmi sia rivolta all’eventualità che cada dal cielo un meteorite, tipo quello che accoppò i dinosauri, forse pure meno voraci dei nostri mutevoli governi. Con le tasse ci hanno sempre fatto piangere, speriamo che i prossimi ci facciano ridere fino alle lacrime.
Umberto Mantaut