Sta volgendo al termine il decennio 2011-2021. Passerà alla storia come il periodo più nero di tutta la nostra vicenda repubblicana e nazionale, persino peggiore delle tragedie delle due guerre mondiali e della dittatura fascista. Per molti il crollo è stato determinato dall’entrata del nostro paese nell’eurozona, ma forse si è trattato in particolare dell’accettazione penalizzante di un cambio disastroso con la nostra vecchia lira. Poi è subentrata la nostra rassegnazione ai governicchi multicolori e, infine, salutato come una manna dai nostri incurabili intrallazzatori, ecco il virus cinese, come alibi per giustificare tutti i disastri. Di fatto, le nostre libertà, non solo quelle economiche, sono state progressivamente soffocate dalle rigide regole comunitarie, dall’esterno, e dalle strane manovre della politica interna. Il popolo che ingenuamente credeva di essere “sovrano” per norma costituzionale non ha più voce in capitolo e se parla viene messo a tacere proprio dai garanti della Costituzione più bella del mondo. I governi cambiano quasi con la musicalità di raffiche di mitragliatrice o fragore di motofalciatrici. Distruggono le messi mature coltivate con anni di sacrifici che avevano portato il nostro paese ad essere fra le prime potenze economiche mondiali. Una serie di “colpetti” di stato non solo hanno tolto la voce al popolo, ma hanno spento la fiducia che è il motore di tutte le iniziative, hanno compromesso la speranza che dovrebbe essere l’ultima a morire. Il diminutivo “colpetti” non deve essere letto come un alleggerimento della gravità dei fatti, ma come un’amara ironia e l’indice del livello di stima ormai raggiunto in Italia dalla classe dirigente. Il popolo sente la “puzza”, non pensa che è l’intero corpaccione nazionale ad andare in putrefazione, si limita a ricordare scioccamente che “il pesce puzza dalla testa”. Ha torto! Non si può pretendere che un pesce morto rialzi la testa per pronunciare uno dei suoi proverbiali “io non ci sto”. Lasciamo in pace il pesce rosso: E’ vero che ridacchiava quando i carri armati sovietici massacravano cittadini inermi nelle strade di Budapest. Da tempo ha smesso di ridere, ha dato retta ai sorrisetti dei premier francese e tedesco, ma forse si è pentito dei suoi errori. Ora sta nelle acque chete di un vitalizio stratosferico e merita rispetto. Abbiamo in carica una persona nuova, non certo una sardina o un tonno in scatola. Gli chiediamo di avere uno scatto d’ira da pesce martello. Batta un colpo. Non un colpo di stato. Un colpo duro per l’andazzo catastrofico e vergognoso che stanno seguendo i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Lasciamo perdere le putrefazioni ittiche e liberiamoci delle mele marce che sono ormai troppe fra i politici e i magistrati. Ormai emergono nomi, cognomi, indirizzi e titoli di studio che spesso non ci sono e se ci sono derivano evidentemente da studi assai mediocri. L’Italia ha eccellenze in tutti i campi dell’arte, della manifattura, dell’enogastronomia, ma anche per livelli culturali e imprenditoriali. E’ vero che molte belle menti hanno dovuto cercare all’estero riconoscimenti e successo. Qui chi si distingue per capacità, onestà e idee geniali è immediatamente boicottato dai mediocri intrallazzatori che occupano le posizioni chiave nel paese. Abbiamo bisogno di un profondo ricambio a tutti i livelli cercando e votando i migliori a prescindere dalle ideologie catastrofiche che hanno imperversato nel secolo scorso. Mentre la classe dirigente degenera il popolo matura, medita, mugugna. A furia di colpetti e strappi la corda si spezza e, quando va bene si limita a sferzare si spera senza spargimenti di sangue.
Umberto Mantaut