Lieve come il fruscio di un nastro di seta, ma senza seguire quella “via”, giunse fra noi l’ennesima influenza asiatica, questa volta peggiore delle altre. Scelse per il viaggio le linee aeree lungo la rotta Wuhan Milano. Alla Malpensa, che ricorda tanto anche il “mal fa”, ai piedi delle scalette si assieparono i buonisti, che non vuol dire buoni ma stolti, per sbaciucchiare i bimbetti dagli occhi a mandorla, tornati dalle vacanze in patria per iscriversi nelle nostre scuole. Non sazi e per dare buoni esempi, molti cenarono a base di involtini primavera e finirono la nottata allo sballo con canne e alcol nella movida sui Navigli. Poi qualcuno trasmise le immagini terrificanti degli autocarri militari che smaltivano le salme come rifiuti organici, senza autopsie di controllo ed esequie da cristiani. Allora di corsa si imposero a tutti mascherine, distanziamenti ed arresti domiciliari, detti lockdown per non chiamarli con il loro nome. Alcuni sedicenti esperti e politici eletti da nessuno dissero in tv che le mascherine erano inutili. I fortunati, disinformati ed anche un po’ fessi, evidentemente, non avevano mai fatto l’esperienza di addormentarsi in una sala operatoria circondati da medici ed infermieri mascherati. E’ chiaro che se la mascherina è prodotta a regola rappresenta una sicura protezione contro le infezioni. Semmai l’abuso si sospetta sia dannoso, perché una persona ha bocca e naso destinati ad espellere aria viziata con relativi microbi e alla lunga ci si autointossica. Immaginiamo un bavaglio posto allo scappamento di un’automobile che di sicuro non funzionerebbe più regolarmente. Il guaio si presentò quando i soliti furbetti con i relativi compari furbacchioni compresero che le mascherine potevano essere un affare milionario in termini di commissioni scandalose, ma assolutamente lecite, da spartirsi fra compagni di merende. Piovvero ordini di miliardi di pezzi prodotti prevalentemente nella stessa Cina dei pipistrellofagi ai quali si attribuì l’insorgenza del fatale morbo. Le mascherine importate e sottoposte a test poco approfonditi sono state molte volte “smascherate” come improprie, ma il peggio è iniziato con la nostrana produzione “fai da te”. Ecco comparire le maschere griffate di tutti i colori. Per le signore divenne una moda abbinare la mascherina come un accessorio coordinato con i colori e i disegni degli abiti. Si produssero mascherine nere effettivamente luttuose, altre da sera col brillantino. Una parata di stracci inutili tipo mercato delle pulci. Secondo logica e dettami scientifici le mascherine dovrebbero essere cambiate dopo un certo numero di ore, ma costano, sia pure poco, in media 50 centesimi, che con l’acume prodiano valgono comunque come 1000 vecchie lirette italiane. Tutti le tengono sul muso a tempo indeterminato, gli igienisti le lavano e se le rimettono, alla fine molti le gettano per strada e pare che i cinghiali non le gradiscano, aumentando l’indecente degrado ambientale. Per fortuna oggi l’Italia, da secoli stuprata da invasori e comunque maltrattata dagli stessi suoi abitanti, si presenta tutta in bianco come una sposa vergine, grazie alla campagna di vaccinazione ed anche allo stesso virus il quale, seguendo l’esempio di molti di noi, ha preso il vizio di darsi da fare il meno possibile nei suoi nefasti compiti e pare persino deluso non avendo speranze immediate di ottenere lo jus soli. Solo la Sicilia ribelle ha l’ittero per la rabbia di vedersi invasa ogni giorno da gente non invitata a gustare i suoi prelibati cannoli. Oggi all’aperto le mascherine si possono evitare essendo vicini alla immunità di gregge e di mandria, ma accadono cose esilaranti. Certi idioti corrono ancora in solitaria su spiagge deserte con la mascherina sferzata da raffiche di maestrale. Altri con i finestrini chiusi guidano imbavagliati, non sapendo che la carenza di ossigeno può offuscare i riflessi. Intanto nel pigia-pigia delle metropolitane nell’ora di punta pochi indossano il prezioso presidio sanitario. Chi mangia al chiuso nei ristoranti esercita un su e giù della mascherina con schizzi di sughi vari. I giovani si radunano, anzi ammucchiano, per balli e sballi proibiti sulla carta, ma stranamente tollerati dalle autorità, facendosi di alcolici, pasticche, canne e giochi a lingua in bocca con estranei, senza alcuna protezione, esclusa quella di Santa Pupa instancabile, poveretta. Concludendo e nella speranza, con la esse minuscola, che davvero la tragicommedia delle mascherine sia quasi finita, auguriamoci che prima del prossimo carnevale si riaprano le danze della ripresa economica, le saracinesche degli esercizi falliti, le scuole, le discoteche, le palestre e tutti gli altri luoghi di pacifica convivenza, obbligando l’uso della museruola soltanto più per i cani mordaci, che invece vediamo in giro a bocca libera e raramente multata.
Umberto Mantaut