La catastrofica anzi apocalittica situazione in cui si trova oggi il Regno Unito sta inducendo qualche inglese di mentalità aperta ad avere dubbi sull’infallibilità della perfida Albione, oggi più che altro miserevole. Ieri, una cara amica londinese mi ha mandato un messaggio dicendomi: “Better late than never. She was an absolute disaster”, meglio tardi che mai, lei è stata un autentico disastro, riferendosi alla rovinosa caduta del Governo Truss, nato gracile, allattato da mammelle striminzite e morto in culla di stenti. Londra è ormai come una testa troppo grossa, di cervello sclerotico su un corpo rachitico, peggio di Roma che non si è mai ripresa dopo la caduta dell’Impero dei Cesari oppure Vienna, nobile decaduta dopo la fine della potenza austro-ungarica. Sono comunque storie europee e non si capisce come il 20 ottobre l’Economist, giornalone più protervo dei nostri nel denigrare l’Italia e molto apprezzato anche dai faciloni americani, si sia permesso, invece di pensare alle porcate anglosassoni, di pubblicare una vignetta da querela internazionale. Si vede la pallida Liz Truss con in testa un elmo da legionario, come quei pagliacci che stanno intorno al Colosseo per la stupida foto ricordo. Non basta, la ex premier britannica si ripara con uno scudo a mo’ di pizza margherita e regge spaghetti arrotolati su una lancia da guerra. Il superbo Regno Unito è poi rinominato a mo’ di sfregio “Britaly”. Per la verità un poco questi sberleffi internazionali ce li meritiamo. Qualcuno ricordi Alberto Sordi con la faccia affondata in un piatto di pastasciutta, lo sculettare su asinelli ciociari o nei vicoli fatiscenti di nostre belle attrici, uomini che non hanno i piedi per terra e svolazzano nel blu dipinto di blu, ladri di biciclette, mafie, pizze, mandolini, lustrascarpe (sciuscià, da shoe shiner) ai piedi dei liberatori americani. Se parliamo poi di certi nostri politici, semianalfabeti ai vertici di vitali dicasteri, apriti cielo. Eppure dalle mani dei nostri abili lavoratori, dall’intraprendenza dei nostri imprenditori, dal genio dei nostri artisti e progettisti, dalla saggezza dei nostri agricoltori abbiamo inondato e strabiliato sempre il mondo con le auto di lusso più ricercate, i prodotti dell’alta moda, le stupende opere di ingegneria e architettura, i migliori vini e prodotti della terra. Gli inglesi non devono avere ancora metabolizzato la perdita dell’impero e credono ancora che Piccadilly Circus sia l’ombelico del mondo. I più saggi, colti e con la mentalità delle grandi città non avrebbero mai voluto la Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dalla U.E., chiesta purtroppo da una maggioranza provinciale, aggrappata morbosamente alla sterlina e alla corona, avendo notato che Frau Merkel stava trasformando l’Europa pavida in un Land tedesco, pur non essendo nemmeno lei eterna. Ora, forse, ci stanno ripensando, ma è tardi. Londra non riesce più nemmeno a tenere insieme le province. La Scozia pensa alla secessione, l’Irlanda del Nord, logicamente vorrebbe legarsi alla madrepatria per lingua, cultura e religione, il Galles si lamenta come territorio alquanto depresso. Inoltre, la fama di capitale cosmopolita, multietnica e multirazziale è offuscata dal multirazzismo. Tutti i “colored” a sud del Tamigi nei quartieri poveri di Brixton e Streatham, indiani e pakistani oltre Wimbledon al nord a Kingsbury, cinesi tollerati purché gestiscano i loro ristoranti su Edgware road o i saloni di massaggio a Soho. Noi italiani, anche laureati, stiamo bene a fare i camerieri. Londra è una meta turistica di prima grandezza e in gran parte lo merita. I visitatori si aggirano estasiati nelle sale della National Gallery ammirando molti capolavori nostrani, nel British Museum sono senza fiato al cospetto dei fregi strappati al Partenone. Le guide consigliano una gita “archeologica” a Stonehenge o la giornata al mare a Brighton, sulla “loro” riviera, dove il sole ha un pallore impressionante e bisogna non dimenticare l’aspirina da prendere dopo un bagno in acque gelide, onde ridurre i danni da raffreddore. Nessuno invita i turisti a prendere un metrò da King’s cross-St Pancras a St Albans, grazioso sobborgo nell’Herfordschire, e andare a visitare ciò resta del foro romano di Verolamium, che si può ben definire l’antichissima London. I ruderi per la verità sono limitati a una colonna e resti di mura e insule, ma il vicino Museo Romano, organizzato con modernissime strutture museali, illustra con ricchi reperti quella che fu la vita della Britannia civilizzata da Roma, quando ancora gli indigeni si difendevano con la clava e mangiavano ghiande. Dunque gli screanzati dell’Economist sappiano che, mentre la Bretagna non è più “Gran”, la piccola Italy è saldamente ancorata all’Europa alla quale ha dato tanto, è la Florida europea per clima e bellezza delle coste, conserva come patrimonio dell’umanità i tre quarti delle ricchezze d’arte del mondo intero. Siamo gran signori e non chiediamo danni pecuniari in milioni delle loro sterline svalutate, ma le scuse le pretendiamo.
Umberto Mantaut