Nella regione centro-meridionale della Tunisia, in un punto desertico in cui s’incontrano le principali vie carovaniere, sorge la città santa di Kairouan, faro della cultura islamica. Varie strade vi giungono dalla costa orientale, attraverso il Sahel o dal nord verdeggiante, altre affrontano le prime alture aspre dell’Atlante verso l’occidente algerino o scendono in direzione delle oasi meridionali dove si trasformano in piste che si perdono nell’immensità del Sahara. Per il suo significato altamente culturale l’UNESCO nel 1988 accolse questo grande centro nel novero delle località patrimonio dell’intera umanità. La fondazione della città risale all’anno 670, ma il massimo splendore fu raggiunto nel secolo IX sotto la dinastia degli Aghlabid. Le mura di Kairouan si annunciano rosseggianti e perfettamente conservate nel paesaggio brullo della savana, monumentali e luminose come quelle della cattolicissima Avila, solide e rassicuranti come i bastioni dell’imperiale città di Marrakesh, ma dietro la barriera di pietra pulsa una città gentile e laboriosa che non è solo un luogo di pellegrinaggio musulmano. A Kairouan fervono i commerci e fiorisce l’artigianato. La produzione dei tappeti è una tradizione gelosamente perpetuata dalle famiglie della città, ognuna delle quali ha un suo telaio ed un suo segreto. Le donne hanno i loro disegni prediletti, vere e proprie griffe che conferiscono pregio particolare al prodotto, caratterizzandolo nelle sfumature cromatiche, per l’uso di lane o sete pregiate e per i colori naturali inimitabili. La legge vieta l’introduzione dei telai meccanici che cambierebbe il ritmo e la qualità del lavoro, svilendo il pregiato tappeto di Kairouan al livello di un banale prodotto industriale. Perciò i mercanti locali sono ben fieri di mostrare capolavori: dal minuscolo preghierino di gusto arabo al ricercato kilim, per passare poi al grande tappeto di seta, fitto di arabeschi orientali di pregiatissima fattura e dal prezzo impressionante. Le lunghe trattative per gli acquisti si svolgono accoccolati su montagne di tappeti, sotto pigri ventilatori, sorseggiando da bicchieri opachi l’onnipresente tè alla menta. La visita delle moschee permette di approfondire i vari aspetti della religione islamica che in Tunisia rifugge dal rigore integralista e si manifesta come culto tollerante, aperto al dialogo e, per molti aspetti, rasserenante. La grande moschea, Djamâ Sidi Oqba, se visitata in pio pellegrinaggio per sette volte, può dispensare il fedele dal viaggio alla Mecca. Nel suo cortile severo sembra raccogliersi tutta la luce del deserto, mentre nell’ombra della sala di preghiera una selva di colonne puniche, romane e bizantine testimonia ancora una volta la fusione perfetta fra le differenti culture mediterranee. Molto più colorata e ornata, la Moschea del Barbiere ci offre un quadro dell’arte decorativa tunisina e magrebina che specula sugli effetti delle maioliche policrome, degli stucchi e dei legni finemente intagliati, senza disdegnare i marmi italiani e gli azulejos di tipo andaluso. Poiché l’acqua nel mondo arabo è importante e sacra, la visita di Kairouan si completa con una tappa al bacino degli Aghlabidi, grande complesso di vasche ed acquedotti che dissetano la città santa e servono i fedeli per le abluzioni rituali. Poi il turista è irresistibilmente attratto dal vivacissimo souk dove si possono acquistare indumenti arabi, monili, ceramiche, tappeti e innumerevoli altri prodotti artigianali. Molti accoglienti ristoranti tipici offrono i gustosi piatti locali innaffiati dai ricchi vini tunisini, da non perdere scorpacciate di datteri della varietà “nour” che significa luce.
Umberto Mantaut