La famiglia regnante del Marocco, pur disponendo di splendide capitali imperiali, preferì stabilire la propria residenza stabile nella piccola città costiera formata dall’insieme di due centri abitati separati dal fiume Bou Regreg. Rabat e la vicina Salé crebbero immediatamente con l’accostamento di antiche vestigia e quartieri moderni di ispirazione francese. L’UNESCO, dopo avere sottolineato all’attenzione del mondo intero le meraviglie delle antiche città imperiali dell’interno semidesertico, ma dissetato dalle acque che scendono dalla catena montuosa dell’Atlante, decise nel 2012 di aggiungere al ricco elenco dei siti protetti di quel magnifico paese africano la capitale ufficiale del Regno del Marocco, specialmente per la straordinaria importanza storica, culturale e architettonica dei due complessi della Casba degli Ouadaïa e il Mausoleo di Mohammed V. Rabat è in un certo senso l’Aia del Marocco. La calda capitale africana con la sua antica Kasba, affacciata come un balcone sull’estuario del Bou Regreg e sull’Atlantico di un blu abbagliante, è lontanissima dal punto di vista fisico e culturale dall’ordinata cittadina dei Paesi Bassi, verde e pianeggiante, costretta ad arrampicarsi sulla lunga diga di Scheveningen per vedere il Mare del Nord sempre grigio e brumoso. Il paragone è troppo azzardato, ma non lo è più tanto se si ragiona in altri termini. Entrambe le famiglie regnanti, tra le più ricche e sagge del mondo, hanno volutamente scelto come capitale un centro ameno e discreto, lontano dal caos delle metropoli finanziarie dei rispettivi paesi, quasi a voler dimostrare che l’amministrazione di uno stato e la sua rappresentatività agli occhi del mondo sono cose superiori da gestire in luoghi appartati e dignitosi. La reggia dell’Aia, come quella di Rabat, è imponente ma non sfarzosa ed anche i nobili delle due città, per motivi di classe e di stile, evitano l’ostentazione delle loro fortune, poiché sarebbe sinonimo di cattivo gusto. Soltanto i giardini delle belle dimore patrizie rivelano, specialmente a Rabat afflitta dalla siccità, dispendio e cure eccezionali. L’Aia è abitata anche da una classe media benestante, sicché l’intera città dimostra d’essere ricca e curata. Purtroppo a Rabat, fuori dei bei quartieri dell’ufficialità e della diplomazia, s’estendono zone povere con l’aggravante dell’indolenza arabomediterranea e della tendenza alla trascuratezza che rendono la miseria ancora più triste e laida. La storia di Rabat è travagliata. Centro mauritano nel secolo VIII a.C., divenne punica e poi romana con il nome di Sala Colonia. A quei tempi l’estuario dell’uadi Bou Regreg era un accogliente approdo, destinato a decadere per insabbiamento. Dopo i romani, la città si trasformò in un convento fortificato, “ribat“ da cui il nome attuale di Rabat, circondato da un agglomerato berbero. Sotto la dinastia degli Almohadi, specie durante il regno di Yacoub el Mansour, Rabat risorge e si cinge di grandiosi bastioni intorno alla medina, con porte monumentali, grandi moschee e sontuose dimore. Con l’arrivo d’innumerevoli profughi andalusi, Rabat s’ispanizza nel secolo XVII, ma al tempo stesso si trasforma in un rifugio di pirati temutissimi dalle flotte europee minacciate nelle loro rotte commerciali fra l’Islanda e le Canarie dai cosiddetti “corsari di Salè”. Gli Alatiti, padroni di Rabat dal 1666, la considerarono una tappa importante durante i trasferimenti da Fès a Marrakesh lungo la costa e decisero di costruirvi un primo abbozzo di residenza reale. Solo nel 1912 il sultano Moulay Youssef trasferì definitivamente la capitale del paese a Rabat decretando la sua fortuna. Infatti, fuori della medina storica e della città gemella di Salé sulla riva destra del Bou Regreg, Rabat si è sviluppata come città moderna e industriosa, fiorente per le industrie alimentari e tessili e per il vivace artigianato dei tappeti e dei metalli lavorati. La visita turistica di Rabat inizia dalla famosa “esplanade” che ospita l’antico minareto noto come Tour Hassan e il superbo mausoleo di Mohammed V. La vista spazia sulla Kasba, la città di Salé e la vallata del Bou Regreg. Nella parte opposta della città fortificata s’ammira la grandiosa porta dei venti, Bab er Rouah, aperta nelle mura storiche. Poco distante si trova il complesso del palazzo reale, d’alcuni ministeri e dei servizi del primo ministro. La medina e la Kasba, con mura proprie, sono altresì protette dai possenti bastioni andalusi. Le rovine romane di Sala Colonia si trovano nel complesso chiamato Chella, una cittadella appartata dal resto della capitale, come luogo sacro e necropoli dei sovrani marocchini. Quelli attuali sono noti per le aperture verso l’occidente, i favori concessi all’emancipazione delle donne marocchine e la religione vissuta come lo stesso Islam corretto richiede. Dopo un soggiorno a Rabat del popolo di questa dignitosa capitale rimangono alcune immagini contraddittorie: anziane donne velate nei souk, monelli nudi saltellanti sulle pericolose scogliere dell’oceano, gruppi di giovani attivi ed eleganti, abbigliati alla moda occidentale, alle fermate degli autobus urbani, famigliole misere accoccolate nella polvere delle periferie, impiegati impeccabili ma sfaccendati in uffici pubblici di una modernità spoglia. Per certi aspetti si respira la stessa aria indolente di Roma, si registrano le medesime trascuratezze e si verificano gli stessi disguidi. Chi va in Marocco apre gli occhi, si vergogna dei pregiudizi e si rende conto di quanto noi siamo simili ai magrebini per aspetti somatici e comportamentali ed anche nella gestione non sempre accurata del patrimonio archeologico, artistico e culturale e nel lasciare ampie aree delle nostre belle città in preda al degrado.
Umberto Mantaut