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Statistiche mendaci

Sempre straordinaria la nostra Sicilia! Non smette mai di stupirci nel bene e nel male. Un’isola magnifica con gente sanguigna, che tuttavia non ama il colore del sangue vivo. Basta sventolare vessilli o stracci rossi per vedere i siciliani imbufaliti come tori da corrida. Diamine, la Trinacria è terra generosa di agrumi. Le si addice il giallo dei limoni o il colore delle arance, anche quello rinforzato della varietà tarocco. Dunque, tarocchiamo i dati dei decessi da covid. Lo hanno deciso due funzionari responsabili del settore salute, consultandosi circa il modo per ingannare a Roma il novello Tiziano, il quale con tavolozza e pennelli colora vivacemente le regioni italiane, lasciando pallidi di rabbia soltanto i volti dei cittadini. Strano che i due complottisti, uno “masculo” l’altro “femmena”, in ossequio alla parità di genere, abbiano parlato per telefono nella capitale dell’omertà, dei sussurri e dei pizzini. Non sanno gli stolti che siamo tutti spiati? Basta mandare un sms a un amico confessando il nostro debole per la Ferilli, che ci sembra una bomba di bellezza, per essere schedati come pericolosi terroristi esperti nel maneggiare esplosivi. Quei due ingenui sono stati comunque geniali e divertenti facendo uso del verbo “spalmare”. Che cinismo! I morti di una giornata distribuiti su una settimana come confetture di more sicule sulla fetta biscottata da spedire al cervellone romano, che la digerisce e la rivomita sotto forma di decreti anticostituzionali di reclusione per milioni di innocenti. Se si è tentato a Palermo il gioco al ribasso c’è da scommettere che a Milano qualcuno lo avrà fatto al rialzo per opposti quanto oscuri motivi. Ecco, lo squilibrato che si getta dall’ottavo piano per una delusione amorosa, gli fanno l’autopsia, trovano un bacillo sospetto sulle tonsille e lo aggiungono all’elenco dei morti da covid. Un altro, fortunato, si ammala, viene curato e dimesso. Va all’anagrafe per un documento e l’impiegato gli dice “guardi che lei è deceduto, sta nell’elenco dei cremati dell’ultimo convoglio militare”, poi, rivolto a un collega aggiunge un galileiano “eppur si muove”. I mezzi di informazione di massa, riuniti in un macabro consorzio, sembrano una grande impresa di pompe funebri, con lugubri funzionari tutti laureati in scienze statistiche. Negli anni felici nei quali credevamo di stare tutti benino nessuno ci faceva all’ora di cena l’elenco minuzioso e forse fasullo dei decessi. In Italia morivano in media 600.000 cittadini ogni anno. Una cifra da ecatombe, ma “spalmata” su 60 milioni di abitanti dimostrava che siamo uno dei popoli più longevi del mondo, grazie alle trenette col pesto, alle penne rigate all’arrabbiata e alle orecchiette alle cime di rapa. Fra quel buon mezzo milione di anime pie la maggior parte era tornata al cielo per complicazioni della ordinaria influenza stagionale. Seguivano le vittime da cancro, colpi al cuore, schianti in autostrada, fumo che uccide, alcol, droghe, maschicidi, femminicidi, infanticidi, suicidi e folli degli sport estremi. Va a finire che a covid debellato le statistiche aggiornate ci diranno che in fondo abbiamo avuto meno morti. Intanto, tutti a casa, si evitano gli incidenti stradali. Pare che la solita influenza non si sia fatta vedere. E’ difficile spacciare e non si muore per overdose. Si fa finta di lavorare da casa, niente liti con i colleghi e meno infarti. Passerà la insopportabile moda di questo necrologio di massa quotidiano, con servizi di approfondimento e dibattiti con sedicenti esperti, politici multistellati, intellettuali scapigliati e ospiti illustri. Viene la nostalgia dell’anno 1957, quando l’asiatica mieteva vittime fra giovani ed anziani più del covid e nessuno la chiamava pandemia. In Sardegna e nella Sicilia interna si rispettava ancora il lutto stretto. In un paese sperduto si poteva leggere affisso sui muri un necrologio come si deve: “Dopo lunga e penosa malattia, a 108 anni, è mancato all’affetto dei suoi cari l’indimenticabile Salvatore Rimi, da tutti conosciuto come Turiddu”. Nel nord evoluto, in un villaggio prealpino, la vedova novantenne di un centenario stroncato dall’influenza fece scolpire sul marmo: “Riposa in pace che riposo anch’io”. Le chiese erano aperte e tutti senza mascherine seguivano compunti  le sante Messe, presente cadavere. Infine, afflitti e stretti sul sagrato, i presenti non applaudivano stupidamente come oggi al passaggio delle bare.

                                                                       Umberto Mantaut

 

 

 

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