Ora basta, decidiamoci a scrivere scuola con la “K”, come per la okkupazione che di solito avviene sempre a novembre. Dal ’68 molti si saranno domandati come mai, con qualunque Presidente del Consiglio in carica e con il trascorrere non solo degli anni bensí dei decenni, sempre regolarmente a novembre le scuole entrano in subbuglio. Non ci vuole molto per capirlo. Come si sa l’inizio delle lezioni del nuovo anno scolastico procede a rilento. Bisogna attendere che tutti i docenti siano in cattedra per i ritardi nelle assegnazioni, poi è normale considerare che non bisogna subito stressare i pargoli con nuovi concetti o stupide nozioni, occorre tentare un recupero delle lacune lasciate dall’anno precedente e dalle lunghe e calde vacanze estive. Verso la fine di ottobre qualche professore, immediatamente inchiodato come severo e deciso a turbare gli animi sensibili dei ragazzi, parla di “verifiche”, un tempo dette compiti in classe e interrogazioni. Ecco che gli attivisti studenteschi convocano affrettate quanto confusionarie assemblee nei corridoi. Un nemico da contestare si trova sempre: il professore antiquato, il governo, il ministero della istruzione, il collegio docenti, il preside, mancano solo i bidelli, quelli lasciati in pace. Spuntano bandiere, striscioni, cartelloni, segni colorati in faccia, indumenti adatti tipo descamisados e si parte in corteo in tutte le città, con grande gioia per gli automobilisti. Spesso se si chiede ai partecipanti per cosa contestano ci si accorge che qualcuno non conosce neppure i nomi dei personaggi da contestare, cominciando dal loro preside per finire allo stesso Presidente della Repubblica, escludendo il noto Kossiga scritto con k. Si lotta contro il “sistema” e con ciò si sistemano i curiosi. Tuttavia, se quella “k” ci sembra troppo tragica, come una coltellata al kuore, dobbiamo rimuoverla e cercare altrove consolazione e lo spunto per una sana risata, che fa sempre buon sangue. Dunque, sposterei l’attenzione dei lettori alla metà degli anni ottanta del secolo scorso, raccontando un fatterello curioso. Con il non facile incarico di presidente di commissione di maturità in un istituto tecnico di una ricca e, ovviamente, presuntuosa città del nord “produttivo” ricordo che in sede di riunione preliminare si doveva trovare un commissario disposto a sacrificarsi per fungere da segretario, compito assai gravoso perché costui deve stilare i corposi verbali, possibilmente in corretto italiano. Di solito questo incarico vien fatto digerire al professore di lettere, che se non sa leggere almeno si suppone sappia scrivere. La collega di allora, quasi giustamente fece notare che lei già doveva correggere ben 90 temi svolti dai candidati. Veri e propri orrori, per sua fortuna leggibili. Infatti, già a quel tempo i ragazzi, non avendo mai elaborato un personale stile corsivo, scrivevano tutto in stampatello maiuscolo, senza punteggiatura alcuna, persino al momento di apporre la propria firma in calce all’elaborato. Gli altri commissari per le materie tecniche avevano a loro volta i 90 lavori presentati dagli esaminandi, di sicuro più difficili da decifrare dei temi di italiano. Timido e smarrito alzò la mano offrendosi in sacrificio per noi un giovane commissario per la materia del diritto che non prevede esame scritto, ma solo colloquio orale. Con molta buona volontà andò avanti per alcuni giorni a verbalizzare tutto, durante gli esami e nelle riunioni successive della commissione esaminatrice. Un vago sospetto mi colse quando, entrati in confidenza, il giovane avvocato, con studio legale aperto in città con successo e docente di diritto in un istituto della stessa, mi disse di essersi laureato negli anni settanta, purtroppo con voti minimi, per la esattezza i 18 universitari corrispondenti ai 6 politici delle medie. Vantò le sue militanze nei collettivi, insomma si trattava di un sessantottino. Allora, mi andai a rileggere i suoi verbali, ai quali si era data tanta fiducia. Con grande sorpresa, costui in più punti dei verbali sgrammaticati citava la scuola, scrivendo “squola”. Con molto disagio e diplomazia gli feci notare il piccolo errore. Lui esclamò, si tratta di una svista e corresse ovunque compariva la parola scuola. Dunque, gli inventori della terrificante “k” sappiano che la grande riforma risale a gloriosi tempi precedenti e la consonante battagliera è la “q”.
Umberto Mantaut