Mattina d’agosto, ore undici, sole a picco, 35 gradi all’ombra, umidità soffocante, percepiti 41, si passeggia a zig-zag scegliendo le macchie d’ombra, ma si suda lo stesso. Decine di negozi, bar, ristoranti, centri commerciali, con ampie vetrate sulla pubblica via, tengono centinaia di faretti e lampadari accesi in pieno giorno. Non aumentano la sensazione di caldo, perché i condizionatori sono al massimo della loro potenza. Prima di entrare le persone pie rivolgono una preghiera a Santa Pupa, che pare protegga pure gli adulti. Varcata la porta arriva sulla schiena del malcapitato un getto forzato di aria gelida, tipo barriera termica fra l’estate esterna e l’inverno interno. A qualcuno viene anche una specie di mancamento, come su un aereo che per un guasto depressurizza improvvisamente. Poi ci si abitua con brividi e dita incrociate contro il rischio di polmoniti con complicazioni cardiovascolari. Di sera in tv si presentano gli esercenti in affanno, non per il freddo dei loro negozi, ma per il caro bollette. Esibiscono conti della luce triplicati rispetto a un anno fa, colpa di quel figlio di Putin e degli speculatori nostrani. Questi signori, per amore o per forza (bisognerà obbligarli) dovranno decidere di non sprecare stupidamente tanta corrente elettrica, tenendo spente le luci quando il sole picchia sulle vetrate e abbassando i livelli di “raffreddamento” dei loro condizionatori. Inutile dire che l’esempio dovrebbe venire anche dalle strutture pubbliche dove certi comportamenti sono la regola, tanto paga lo Stato che siamo noi, quando si tratta di sborsare. Dopo la sbornia ferragostana e le olimpiadi elettorali, con ottobre, l’ora solare e il primo freddo ci ritroveremo con i razionamenti imposti dalla scarsità delle scorte. Al frinire delle cicale seguirà il frignare delle formiche, specie di coloro che hanno già capito che la “festa” è finita e bisogna tirare la cinghia, indossare la felpa rossa con la scritta merry Christmas e non la canottiera bianca di agosto alle cene natalizie e stare sotto la doccia calda solo il tempo necessario. Qualcuno si illude ancora che avremo energia a volontà confidando nelle “palle” eoliche che girando vorticosamente continueranno a far brillare lo stellone italico. Occorre capire che qui il vento è cambiato seriamente. Intanto, già in piena estate, con le scorte ancora in affanno e nessuna intenzione di pompare gas del fondale adriatico, qualche amministrazione locale potrebbe farsi notare per una iniziativa seria: per esempio, già razionare i consumi di energia elettrica per la illuminazione pubblica, dimezzando il numero di lampioni accesi fra le ore 23 e l’alba, quando il traffico dei veicoli e il passeggio dei pedoni si riduce di molto. Purtroppo saremo costretti per molto tempo a limitare gli sprechi. Per ora la produzione di energia dipende ancora dalle vecchie centrali inquinanti e per costruire centrali pulite nucleari ci vogliono soldi e anni di lavoro. Le anime belle, specie in questi mesi di colpi di sole, credono che coprendo intere regioni con neri pannelli solari deturpanti potremo fronteggiare la situazione, ma ora si stanno aggiungendo nel divorare energia elettrica anche le automobili di nuova generazione e i consumi saranno sempre crescenti. Chi ha cognizioni tecniche, buon senso e sa fare due conti è seriamente preoccupato. Non siamo struzzi e, anche se ben presto il paese sarà desertificato, non nasconderemo la testa nella sabbia, continueremo, specie di ferragosto a nasconderla nella fetta di cocomero, verde fuori e rossa dentro.
Umberto Mantaut