Ogni volta che si ritorna a Gubbio si è colti da perplessità. Non si riesce a capire se la città sia gaia e solare oppure lugubre e tenebrosa. Per associazione d’idee, parlando di Gubbio si pensa al lupo. Qui si svolse il leggendario incontro tra Francesco d’Assisi e la belva affamata scesa dai monti, dal santo ammansita al pari di un agnello. Nei tempi antichi, Gubbio doveva effettivamente presentarsi come un paese da lupi e tuttora la città è alquanto defilata rispetto ai grandi itinerari. Bisogna venirci apposta per trovarla aggrappata al boscoso monte Ingino, con il nucleo medievale intatto, le strade parallele e strette, collegate da rampe ripide e scale di pietra, le piazze monumentali affacciate sul magnifico paesaggio umbro. D’estate la pietra chiara dei palazzi crea riflessi caldi ed accecanti, ma nell’autunno umido e durante il rigido inverno continentale quel chiarore, unito ai grigi segni del tempo, fa pensare ad un ossario. Gubbio, d’altra parte, è conosciuta per le sue “porte dei morti”. Quasi tutti i palazzi nobiliari ed anche le case dei poveri hanno una porta murata, affacciata sulla pubblica via, accanto all’ingresso normale. Quella porta leggermente sopraelevata e forse un tempo dotata di scala retrattile si dice servisse solo per far uscire le bare in occasione dei lutti, per essere nuovamente murata per una curiosa scaramanzia locale. Alcuni smentiscono dicendo che si tratta di vecchie porte in uso nel medioevo per dare accesso ai piani superiori, ma sull’argomento gli eugubini tendono a fare confusione, confermando la locale diceria che gli abitanti di Gubbio siano tutti un po’ squilibrati. Del resto, se un nuovo venuto intende integrarsi gli si propongono certi girotondi intorno ad una vecchia fontana e gli si conferisce una patente ufficiale di matto. Le grandi feste tradizionali eugubine si svolgono a maggio. Nella prima domenica del mese si celebra la Corsa dei Ceri, nell’ultima il palio della Balestra. In entrambe le occasioni si sfoggiano costumi vivaci nei cortei storici e si ripetono riti nei quali si mescolano sacro e profano, esibizioni di forza e coraggio, si riaccendono una devozione quasi fanatica e antiche faziosità medievali. I Ceri si conservano per tutto l’anno in una navata della cinquecentesca Basilica di S. Ubaldo, a quota 827 m., in cima al Monte Igino, che Dante definì “il colle eletto del beato Ubaldo”. Si tratta di tre curiose macchine di legno prismatiche, fissate su barelle. Nonostante siano pesantissime, i “ceraioli” che sono popolani volontari, dopo varie esibizioni nelle vie e nelle piazze cittadine, il giorno della Corsa affrontano stoicamente la dura salita del colle per riportare nella loro sede gli strani oggetti sormontati dalle statue di S. Ubaldo, patrono di Gubbio e dei muratori, San Giorgio, sul cero dei commercianti e Sant’Antonio abate su quello dei contadini. Un’altra curiosità un po’ folle si può vedere a Gubbio nel periodo natalizio. Da alcuni anni la città è famosa perché realizza l’albero di Natale più grande del mondo. Per la bisogna si presta la forma piramidale del monte Igino. Una lunghissima fila di forti lampade di colore verde serpeggia sui fianchi della montagna, delimitando un gigantesco abete. All’interno della figura si colloca una gran quantità di luci multicolori e sulla sommità della montagna brilla la grande stella cometa. L’effetto scenografico è impressionante osservando il monte dalla città e ancor più dalle campagne circostanti.