Le escursioni turistiche organizzate a Roma, dopo un volo d’uccello sui grandi monumenti imperiali e le basiliche cristiane, quasi sempre includono una giornata a Tivoli, privilegiando le straordinarie rovine della Villa Adriana e i giardini con le fantastiche fontane di Villa d’Este, che, d’estate e illuminate di notte, lasciano ricordi indelebili. Più raramente il giro comprende la bellissima e alquanto misteriosa Villa Gregoriana. In rovina e impraticabile fino alla fine del secolo scorso, nel 2002 il FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano, la ebbe in concessione dal Demanio e le restituì, mediante sapienti restauri lo splendore dei tempi di Papa Gregorio XVI, a tutti gli effetti ritenuto il “padre” di tanta meraviglia. Intanto, occorre godere di sana e robusta costituzione ed indossare scarpe e indumenti adatti. Il visitatore deve sapere che lo attendono 500 scalini, quasi tutti alti e spesso sconnessi, lungo camminamenti scoscesi. La Villa occupa quello che un tempo era un orrido creato in ere geologiche dall’erosione da parte del fiume Aniene. Da modesto torrentello di montagna, questo corso d’acqua si trasformava spesso in un rovinoso fiume in piena. Alcune alluvioni spaventose sono state descritte fin dall’antichità. Plinio il Giovane parla di quella dell’anno 105 d.C. nella Epistola 8 (17, 3-5) e l’ultima catastrofica si ebbe nel novembre del 1826, quasi un colpo di grazia per il già tanto provato abitato della bella Tivoli. Gregorio XVI ebbe l’idea di affidare un progetto grandioso e costoso ad un certo Clemente Folchi, ingegnere idraulico all’epoca molto famoso. Il capriccioso e micidiale Aniene fu incanalato in un sistema di tunnel, opere eccezionali per l’epoca, con sbocco sull’orrido a formare una spettacolare Grande Cascata che precipita nel fondovalle per 100 metri. Poi tutto il vallone fu trasformato in Villa con giardino, luogo romantico di svaghi, scrigno di tesori archeologici e orto botanico. Infatti, per gli amanti della natura occorre ricordare che, oltre alla già fantastica vegetazione spontanea arborea, si è provveduto nel tempo a porre a dimora un vero e proprio campionario di essenze arbustive e di alto fusto. Forse è noioso e allo stesso tempo curioso tentare un elenco: pini a ombrello, lecci, querce, cipressi, allori, corbezzoli, carpini monumentali, ulivastri, lauri, con un sottobosco di piante ombrofile ed amanti dell’umidità, come felci, acanti e ciclamini. Il Parco è dotato di due ingressi, uno sulla via Quintilio Varo e l’altro dalla Piazza del Tempio di Vesta, vicino al centro storico di Tivoli. E’ consigliabile iniziare la visita dal primo. Con in mano una guida con mappa, presa nella biglietteria, si inizia lungo un sentiero incantevole in discesa, con vista sull’abisso e lo spettacolo dell’Acropoli, alta e in pieno sole sull’altra sponda del vallone. Dopo poco si trova una prima terrazza panoramica con affaccio sulla Grande Cascata, si nota che l’acqua dell’Aniene sbocca da una galleria artificiale e precipita verso il fondovalle in uno scenario spettacolare. Poi si prosegue e si incontra un primo sito archeologico dove esisteva la grande villa romana di Manlio Vopisco. Del manufatto descritto come una sontuosa residenza nobiliare dell’epoca restano sostanzialmente solo le grandiose fondazioni, una triste muraglia di sostegno con grandi archi e volte a botte. Poi lentamente si scende lungo il camminamento tortuoso per raggiungere il fondo della Valle dell’Inferno. Si gode di spettacoli meravigliosi sulle piccole cascate, le varie caverne, la grotta delle Sirene e quella di Nettuno e alla sommità del versante opposto la splendida Acropoli dell’antica Tibur. Nella piccola radura si può fare sosta per riposare, prima di affrontare l’erta salita sull’altro fronte dell’abisso. Anticamente il sito era occupato da un laghetto, chiamato Pelago, poi inghiottito in grotte carsiche durante le alluvioni del fiume. La risalita sul versante soleggiato è davvero faticosa, con il sole che anche nelle ottobrate romane è implacabile sotto un cielo con il tipico blu autunnale. Si trova refrigerio nel curioso “traforetto”, piccolo tunnel fatto scavare nella roccia viva da un certo generale francese Miollis, in tempi napoleonici. Si raggiunge agevolmente in tal modo la Grotta di Nettuno, un tempo solo meta di arditi arrampicatori. L’antro impressionante è refrigerato da una delle tante cascatelle che precipitano nello strapiombo. Infine, col fiato corto, ma con ancora la forza per una esclamazione di meraviglia, si raggiunge la sommità con l’Acropoli di Tibur. Il bellissimo tempio circolare di Vesta, edificato nel II secolo a.C., per la verità dedicato alla Sibilla Albunea, possiede intatti dei meravigliosi capitelli corinzi, mentre il vicino Tempio di Tiburno consta solo di un perimetro di mura cadenti. Si esce sulla Piazza del Tempio e si possono percorrere le vecchie strade di Tivoli, che nel suo centro storico è ricca di altri monumenti. Ma è giunta l’ora di pranzo. Come in tutte le località turistiche famose d’Italia c’è solo l’imbarazzo della scelta. Lo spirito è sazio dopo tanta bellezza, il corpo ha le sue esigenze. Non occorre augurarselo, l’appetito è sempre buono.
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