La visita dei siti archeologici desta riflessioni e sentimenti, tristezze e fantasticherie. Spesso sulle rovine aleggia un’atmosfera cimiteriale che fa meditare sulla precarietà delle cose terrene e la fugacità della vita. Se intorno agli scavi pulsa una città moderna si nota che dopo la decadenza di una civiltà grandiosa i discendenti del grande popolo si dimostrano indegni dei loro padri. In Europa, Roma e Atene sono oggi “le città più brutte, costruite intorno alle più belle”, secondo la definizione di certi studiosi e urbanisti. Tuttavia, in un contesto urbano tuttora vivo i ruderi mostrano, in un certo senso ancora la loro “vitalità”. Immaginiamo il Colosseo, che guarda il cielo come l’occhio rovinato di un orbo, farsi una risata nel vedersi trasformato in spartitraffico per un carosello di autobus, dopo avere assistito ai fasti dei grandi spettacoli e alle parate di trionfo delle imperiali coorti. Le città morte e mai più risorte hanno al contrario una funerea dignità, sembrano avvolte in un sudario e se qualche albero cresce fra rovi e rovine si tratta di un cipresso, l’albero dei cimiteri. Spesso le ragioni dell’abbandono di un abitato che fu vitale e importante si perdono nella notte dei tempi e si scopre trattarsi di cataclismi naturali, guerre, genocidi, epidemie o semplici vicissitudini politiche ed economiche che hanno fatto perdere prestigio ad un luogo un tempo privilegiato. L’uomo che è un grande costruttore si trasforma in distruttore, perdendo il senso della misura e del buon gusto. Un tempio favoloso per dimensioni e stile si può trasformare in cava di pietre per costruire case di pastori e ricoveri per animali. Restano solo tracce di fondazioni, perché quei massi sono troppo difficili da estrarre e trasportare. La natura fa il resto. Recita Garcia Lorca ne “La muerte de Ignacio”:
Pero ya duerme sin fin | Ma ormai dorme senza fine |
Alba Fucens, forse un tempo abitata degli Equi e poi castrum militare romano, dorme da secoli abbandonata in un luogo idilliaco. Nel 300 a.C ci vivevano 6000 famiglie e poi si sviluppò fino ad ospitare 30.000 abitanti; per l’epoca una discreta città dotata di un bel foro, teatri, terme e case di nobili. Il suo nome altisonante fa pensare ad una luce che splendeva con vista sul lago del Fucino che occupava tutta la piana dell’attuale città di Avezzano. La città romana era attraversata dalla via Valeria, la consolare che collegava Roma all’Adriatico attraverso le balze appenniniche. Roma, nei giorni del suo massimo splendore, aveva due milioni di abitanti, come la attuale capitale. Si trattava di sfamare un popolo ricco e fiero. Il grano arrivava dai tradizionali granai dell’Impero, l’Andalusia e la Tunisia, ma non bastava mai, nonostante il via vai delle navi nel porto di Ostia. Già Giulio Cesare, Augusto, Tiberio e Caligola si erano messi alla ricerca di terre fertili più vicine alla capitale dell’Impero, ma solo con Claudio si incominciò a tentare la bonifica del lago del Fucino, per trasformare l’enorme pianura in un esteso campo di frumento. Un’opera di alta ingegneria previde un tunnel sotto i monti per allontanare l’acqua del lago verso la valle del Salto. Riuscì solo in parte, ma l’idea romana fu ripresa in epoche più recenti ed oggi la Piana del Fucino è un esempio di grande bonifica. Alba Fucens e la antichissima via Valeria non godono più di un azzurro paesaggio di acque fra i monti. Sull’opus incertus che attraversa la città morta s’aggirano pochi turisti compunti. Il paesaggio è idilliaco, si cerca la via d’uscita fra le stoppie, ma il cammino si perde verso i monti.
Enogastronomia
Le abitudini della cucina marsicana sono cambiate con il prosciugamento del bacino del Fucino, avviato nel 1854, perché i pescatori, gioco forza, si sono riconvertiti in agricoltori.
La pasta fatta in casa è alla base della cucina locale, tipici i maccheroni alla chitarra e le sagne con i fagioli, mentre molto usate sono zuppe e minestre. I secondi piatti sono essenzialmente di carne, in particolare di pecora, i più noti, tipici ed apprezzati i famosi arrosticini, spiedini di pecora tagliati a dadini. La pecora ajo cottura risale ai tempi della trasumanza, quando i pastori cuocevano le bestie, che si azzoppavano o morivano, sul fuoco vivo a legna in un paiolo di rame, il “cotturo” o “callaro.
Salsicce, salame abruzzese e porchetta eccellono tra i salumi, mentre i formaggi sono quelli tipici della pastorizia: scamorze, caciocavalli, pecorini, ricotte. Un buon pasto per abitudine si chiude sempre con i dolci, spesso a base di mandorle e noci: i cagionetti, calgionetti, caggiunitt’, caggionetti, caviciunette
Re dei vini è il Montepulciano d’Abruzzo, seguito dai diversi Abruzzo DOC, il Trebbiano ed il Cerasuolo.
A fine pasto non si può andar via senza aver degustato il liquore più forte d’Italia: il Centerbe, un liquore che non scende mai sotto i 70 gradi, e come dice il nome è un’infusione di tantissime erbe di montagna.
La zona vanta prodotti contraddistinti con il marchio IGP, come la patata del Fucino e la carota dell’altipiano del Fucino, mentre la castagna Roscetta della Valle Roveto, la mela della valle del Giovenco e l’antico grano Solina sono tutelati dal marchio PAT Prodotti Alimentari Tradizionali.
IAT Alba Fucens
Ufficio informazioni area archeologica di Alba Fucens – Punto Informativo Parco Regionale Sirente – Velino
Piazza della Scuola – 67050 Alba Fucens (AQ)
Tel. 0863.449642 – fax 0863.449642
mobile 339.4458783
mail: albafucens@virgilio.it
Il sito archeologico è accessibile tutti i giorni dall’ alba al tramonto – Ingresso libero
Dove mangiare
Ristorante Pizzeria Le Antiche Mura
Gps N 42°04’46’’ E 13°24’33’’
Dove mangiare e dormire
Albergo della Rocca
www.ilborgomedioevale.com
Gps N 42°05’05’’ E 13°24’41’’
Alchimista del Borgo – Albergo diffuso
www.lalchimistadelborgo.com
N 42°05’05’’ E 13°24’42’’
Parcheggio auto e camper
Parcheggio in prossimità del sito archeologico
Gps N 42°04’45’’ E 13°24’34’’