Usare la parola “poveri” con riferimento agli Stati Uniti d’America è senza dubbio paradossale. Sono una grande potenza economica e militare, una democrazia con la pretesa di esportare i suoi modelli nel mondo intero del quale si sono autoinvestiti nella funzione di gendarmi. Semmai occorre sostituire quel “poveri” con la espressione “che pena fanno”. Intanto, in quel paese ci sono più armi da fuoco che abitanti e uno degli sport preferiti pare sia il tiro al piccione dei Presidenti o dei più importanti uomini politici. Ogni tanto ci azzeccano, altre volte la vittima è fortunata perché il colpo non fa centro o i gorilla svolgono meglio il loro compito. Non parliamo dei servizi segreti incapaci persino di capire che certi individui si allenano sul loro stesso territorio per pilotare aerei contro grattacieli, Casa Bianca e pentagono. Fra i giovani si aggirano dei rancorosi che tornano nelle loro scuole per accoppare studenti e professori. Altri pistoleri assaltano supermercati, centri affollati o le pubbliche vie per fare stragi di innocenti. L’America è multietnica ma il razzismo serpeggia. Ghettizza senza vergogna. New York è un esempio evidente. Tutti i “colorati” a Haarlem, gli alcolizzati nella Bowary, i gay nel Village, i cinesi a China Town, gli italiani a Brooklyn. I non pochi ricconi, quasi tutti bianchi, stanno nell’Eastside o hanno case con vista sul Central Park. Nel Westside vivono i meno ricchi. Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno solo megalopoli frenetiche e disinibite, ma esistono immensi territori di provincia con miriadi di piccoli centri con popolazione bigotta e retriva, a parte il fatto che per tutti loro il vero Dio si chiama dollaro. La presunta democrazia modello è bipolare. Niente ammucchiate scomposte e scomponibili di decine di partiti come in Europa. Negli USA si alternano democratici, ovvero un centro-sinistra, e il centro-destra dei repubblicani. Tuttavia, c’è qualcosa che non torna. Per diventare Presidenti e alloggiare alla Casa Bianca bisogna essere ricchissimi o avere tanti ricchi che sovvenzionano la campagna elettorale. I cittadini, saggi, competenti, colti e moderati non riescono mai ad emergere. Eppure, l’America deve la sua potenza alle buone doti delle sue maestranze e non merita davvero di vedere la famosa stanza ovale occupata da personaggi discutibili. Oltre tutto un Presidente americano è in possesso dei codici della famosa valigetta dalla quale può scatenare la fine del mondo, cosa assai preoccupante, sapendo che nel pianeta non c’è guerra o rivoluzione senza lo zampino degli U.S.A. Negli ultimi decenni le cose sono peggiorate. Col Presidente “abbronzato”, premio Nobel per la pace, è stato scatenato l’inferno nel Nordafrica, chiamandolo pure “primavere arabe”. Sulla coscienza americana con la complicità di un discutibile premier francese c’è l’orribile assassinio di Gheddafy. Col bullo dal ciuffo ossigenato il paese ha avuto un momento di pace esterna, ma si sono acuite di molto le divergenze interne fra destra e sinistra, la quale ultima si è poi affidata alla presidenza di un anziano visibilmente cachettico, che i suoi stessi compagni hanno indotto a farsi da parte, non reggendosi più in piedi. Ora gli U.S.A. sono alle prese con una campagna elettorale grottesca, senza esclusione di colpi fra il già citato bullo biondo e sempre corrucciato e una signora ridanciana. Sembra la Hunziker, ma la nostra svizzerotta almeno ci rallegra col suo eterno sorriso tutto denti e spesso è pure divertente. La americana color gianduiotto ride anche lei con incisivi candidi, ma sembra che non sappia bene di che si debba ridere in un’America in profonda crisi, ormai in concorrenza spietata con le tigri asiatiche, con due guerre in corso dagli esiti incerti, le inflazioni ad altri guai. A noi, forse, andrà bene comunque. Vincendo le risate molti americani avranno da piangere con tasse e crisi economica, non proprio di tipo venezuelano, ma quasi. Noi invece magari continueremo in lenta crescita, con le due potenze Francia e Germania in crisi. Col bullo, detto tycoon, forse il paese penserà ai suoi guai, cercherà di spegnere gli incendi internazionali e per un po’ la pianterà d’imporre a tutti i suoi discutibili criteri in geopolitica. Insomma, non è bello dire “mors tua vita mea” ma a volte il motto latino ci azzecca.
Umberto Mantaut