Da tempo è chiaro, anzi lampante, che i mezzi di comunicazione di massa considerano noi italiani un gregge di pecore incapaci di intendere, quindi idioti manipolabili. Ora i giornalisti si sono gettati come un branco di iene affamate sul terribile caso “Turetta”, non per sbranare l’assassino bensì per farcelo accettare come una vittima. Prepariamoci a dovergli pure chiedere scusa per i dolorosi giorni di galera che sta vivendo e per gli altri che lo attendono prima della sentenza di primo grado. Ci siamo abituati al fetore che emana la giustizia nostrana. Trasformeranno quell’innamorato respinto in un matto da legare, anzi per evitare la espressione non politicamente corretta, un bravo giovane con gravi problemi di salute mentale. Niente galera, ma un periodo in manicomio, pardon, in un centro specializzato nella cura e nel reinserimento in società delle persone emotivamente fragili. Fra un paio d’anni, forse anche prima, il Turetta sarà a piede libero. Avremo dimenticato il caso e accetteremo la decisione che del resto abbiamo già accettato per criminali molto peggiori. In fondo è una storia d’amore sfortunato. Altre tragedie e i problemi di tutti noi per tirare avanti ci faranno dimenticare i dettagli truculenti. Probabilmente verrà fuori soltanto un decreto per i giovani maschi italici che hanno il vizio di circolare dopo il tramonto di tenere in auto un “kit” obbligatorio, che eviterà per tutti il sospetto di premeditazione, se inviteranno le fidanzatine disamorate per un “ultimo”, proprio ultimo incontro chiarificatore. Un paio di coltellacci da cucina accuratamente affilati, nastro adesivo per chiudere bocche capaci di gridare, un paio di sacchi neri per rifiuti dove introdurre la vittima, il libretto delle istruzioni con i consigli di un bravo chirurgo su come dissezionare lungo il giro vita le ragazze troppo alte di statura o alquanto obese. Non si parla della grotta montana dove occultare i poveri resti. Anche le forze dell’ordine sanno che i cani hanno un fiuto migliore di quello dell’essere umano. Fra le righe dei giornali e da alcuni sbrodolati commenti in tv hanno pure tentato di far passare la povera Giulia come una ragazzina sprovveduta. Era una creatura sensibile, si creava sensi di colpa per aver perso la sicurezza in quel rapporto malsano, cercava di tenere a bada il suo persecutore, lo temeva ma sperava che mantenendo l’amicizia con i tempi lunghi il pazzo si sarebbe rassegnato. Il mentecatto non sopportava la superiorità femminile negli studi, la sana ambizione di fare una brillante carriera, il normale piacere di avere amiche, insomma che la donna non è una proprietà, ma una compagna della vita alla pari. Al funerale della “nostra” Giulia l’Italia ha sinceramente pianto dalle Alpi alla Sicilia. Se tutte quelle lacrime fossero scese sulla sola Padova il Bacchiglione e il Brenta straripati avrebbero sommerso l’intera città portando via dalla Basilica del Santo la statua venerata di Sant’Antonio. Nei momenti più bui, ogni persona o anche un intero popolo cerca refrigerio in qualcosa di leggero che aiuti nel sopportare dolori e delusioni. E’ possibile che ci offrano l’esilarante spettacolo della Meloni e della Schlein fianco a fianco come due amiche a stilare a quattro mani una comune raccomandazione per tutte le giovani italiane. Care ragazze, se a causa di un sano complesso ormonale, non potete tenere a freno il naturale desiderio di avere un fidanzato, state in campana. Se il bello vi presenta in famiglia o presso i suoi amici con la frase “questa è la mi regazza” allarmatevi per quel “mi” possessivo e mollatelo subito. Se in una sola ora vi manda una sessantina di cuoricini rossi, cambiate subito il numero del vostro cellulare. Se si mostra geloso del vostro amore per i familiari, i vostri amici, il vostro lavoro, il vostro cagnolino e magari vi dice: “quando vivremo insieme sarai tutta mia”, alzate i tacchi bassi e a spillo e niente “ultimo incontro notturno” da sole per fare il punto di una situazione già ampiamente disastrosa. Poi guardatevi intorno e riflettete. L’Italia è piena di zitelle sorridenti e di mogli dallo sguardo rassegnato.
Umberto Mantaut