Jemaa el Fna significa “riunione dei trapassati”, ma a Marrakesh non è un luogo adatto per sedute spiritiche, nonostante la piazza sia stata per secoli il sito delle esecuzioni capitali comminate senza pietà da sultani crudeli. Oggi, la Place Jemaa el Fna è una vasta spianata che ospita il mercato più incredibile del mondo ed è al tempo stesso il fulcro della medina. Occorre precisare che le persone impressionabili è bene che scelgano un posto d’osservazione sulle alte terrazze dei bar arabi, senza mescolarsi alla folla cosmopolita nel caos del souk. In effetti non accade nulla di spiacevole, ma si ha la costante sensazione che possa succedere di tutto da un momento all’altro. Intanto, attenzione ai serpenti! Sì, poiché certi “serpari” s’aggirano nella Jemaa el Fna con collane di rettili vivi di varia lunghezza e dai colori sospetti allo scopo di venderli. Costoro non esitano ad avvolgerli al collo dei passanti e le urla delle turiste indicano i punti di maggiore concentrazione di questi strani mercanti. Poco distante si leva una litania straziante di ciechi veri o finti che chiedono elemosine impietosendo con occhiaie vuote, bende sugli occhi e un abbigliamento vistoso quanto lacero. Intanto, a terra, su banchi, sotto ombrelloni e nelle botteghe del perimetro si commercializzano le merci più diverse, con contrattazioni esasperanti ad alta voce, riempiendo di clamori vivacissimi tutta la piazza dei trapassati. Al centro della piazza si fa festa con musici, giocolieri, prestigiatori e mangiafuoco. Chi riesce a “trapassare”, fendendo la folla e svicolando, si può addentrare in un labirinto di vicoli per esperienze ancora più intriganti. In tal caso è meglio farsi accompagnare da una guida locale onde evitare disavventure. La medina di Marrakesh risale al secolo XI, quando il berbero Youssef ben Tachfin trasformò il primo insediamento in una vera e propria capitale imperiale influente su tutta l’Africa del Nord, dal Mediterraneo al Senegal. E’ assai curioso sapere che in lingua berbera la parola “marronkesh” voleva significare “taglia la corda alla svelta”, tanto quel posto appariva inospitale. Fu la grande abilità dei costruttori e cercatori d’acqua dei sovrani delle dinastie almohada, saadiana e alauita, la causa del miracoloso cambiamento. Marrakesh è ancora oggi al centro di un meraviglioso palmeto alimentato da pozzi e cisterne in grado di captare le acque che scendono nel sottosuolo dalle cime dell’Atlante, bianche di nevi durante l’inverno e dorate sotto il sole estivo. La città è cinta da mura ben conservate che spiccano per il loro colore cangiante dal rosso al rosa e all’arancione, secondo l’incidenza dei raggi solari. Il minareto magnifico della Koutoubia, del secolo XII, somigliante alla Giralda di Siviglia, svetta dominando la medina nella quale, oltre al souk pittoresco, si trovano insigni monumenti arabi, le grandi moschee, le tombe dei Saadiani, capolavoro dell’arte ispano-moresca, e importanti mederse. Una guida assai colta accompagna un gruppo di mediocri milanesi in visita ad un altro sito storico di Marrakesh, il grande bacino idrico che funge da riserva per la città e per l’irrigazione del palmeto immenso che la circonda. Qualcuno ridacchia. Vale la pena di fare tanta strada per vedere un idroscalo? La guida non batte ciglio. Spiega che l’acqua per i marocchini è oro ed aggiunge che qui vengono le reclute dell’esercito regolare del Marocco per allenarsi al nuoto, in quanto il lato maggiore della grande vasca è un sottomultiplo della larghezza dello Stretto di Gibilterra. I milanesi non afferrano il concetto, allora la guida aggiunge: “L’Andalusia era nostra e un giorno, magari a nuoto, ce la riprenderemo!”.
Umberto Mantaut
P.S.
Questo ricordo di una visita abbastanza accurata della più bella delle capitali imperiali del Marocco deve essere letto come un omaggio al Marocco, oggi colpito da un catastrofico sisma che ha distrutto una città incantevole. Le cronache ci narrano che si piangono migliaia di vittime e feriti e noi italiani siamo particolarmente colpiti e addolorati, poiché anche il nostro paese è spesso teatro di simili catastrofi. Come in Italia, anche in Marocco, un terremoto che distrugge città e paesi, oltre alle perdite di tante vite umane in circostanze terrificanti, danneggia irreparabilmente il patrimonio artistico. Marrakesh come L’Aquila, i villaggi sull’Atlante come i borghi antichi dell’Umbria e delle Marche. Bisogna aiutare il paese amico, ma non con bonifici. Marrakesh e i villaggi arabi sull’Atlante rischiano di restare per anni un cumulo di macerie come la nostra triste Amatrice e i presepi dell’Umbria, con promesse mai mantenute e i soldi delle collette mai spesi bene. Aiutiamo il Marocco continuando ad andarci. E’ un paese accogliente retto da un re colto e moderno. Oltre Marrakesh le altre capitali imperiali sono meraviglie da non perdere e la costa offre spiagge magnifiche e strutture accoglienti anche in pieno inverno. Come da noi il turismo è una miniera d’oro sulla quale si deve puntare per lo sviluppo economico e il benessere di popolo amico.