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Mascherine, maschere e bavagli

Per almeno quattro settimane, puntualmente, durante una nota trasmissione serale su Rete4, è stato sollevato un incredibile scandalo. Il conduttore ha insistito in una singolare denuncia con virile indignazione e voce vagamente femminile, in ossequio, forse, alla boldrinata della parità di genere. Era ospite anche una notissima cantante italiana. La pietra dello scandalo è stato il commercio delle mascherine, preziose, indispensabili, ricercatissime per difenderci dal terribile virus cinese. Con precisione ed insistenza si sono forniti i codici numerici di identificazione di almeno tre grosse partite di mascherine fasulle, coinvolti ovviamente i produttori della merce, i mediatori che si sono incredibilmente arricchiti con le commissioni, i loro referenti forse persino annidati nella pubblica amministrazione. Le mascherine in oggetto sono state definite “materiale fecale” dopo prove sperimentali di funzionamento, con dettagli mostrati in video. Insomma, tali presidi sanitari, indossati da ignari cittadini, non solo sarebbero inutili, ma anche dannosi. Lasciano arrivare ai polmoni dei malcapitati quantità inammissibili di micro particelle nocive e infette, lasciano fuoriuscire miasmi contagiosi dai soggetti portatori della infezione, alla lunga producono disturbi seri di natura respiratoria. Cose che definire criminali è assai poco, dato che si parla della tanto sacra salute pubblica. Ora, a distanza di tempo, radio, televisioni e giornaloni, hanno completamente ignorato l’incredibile vicenda. Se il silenzio significa assenso, cioè tutto quanto è vero, allora ci si chiede come mai la magistratura, capace di tenere sotto processo per venti anni degli innocenti, non intervenga a far luce su questa schifezza. Se invece, si tratta di false notizie, calunnie, diffamazioni, diffusione di notizie allarmistiche, dovremmo assistere ad una valanga di smentite sdegnate, querele più che giustificate, richiesta di danni, rettifiche clamorose. Nulla di tutto ciò sta accadendo e la cosa desta sospetti. Dunque, cari e poveri italiani, obbligati per decreto ad uscire di casa con la museruola, sappiate che, almeno una parte delle “preziose” mascherine è fuorilegge e nessuno fa nulla per chiarire, sanzionare, punire i responsabili. Intanto, anche per sdrammatizzare e sorridere, notiamo i lati mondani, anzi comici, della “moda” delle bocche tappate. All’inizio forse solo le signore, ma poi a ruota i maschetti, hanno pensato di personalizzare l’indumento. Ecco che, dai negozi di abbigliamento di lusso alle bancarelle dei mercati rionali, sono comparse mascherine, anzi maschere multicolori, griffate, abbellite da brillantini per la sera, disegni floreali per le mattinate primaverili, in tinta con i capi di abbigliamento, nere in segno di lutto, con i colori della bandiera per patrioti incalliti, verdastre di speranza, gialle di bile per le continue chiusure decretate sulla base di statistiche epidemiologiche affidate a organismi pubblici, quindi probabilmente redatte da cani, neppure di razza. Tutti questi vili prodotti, ovviamente sono commercializzati senza alcuna garanzia di controllo funzionale, non hanno certificazioni, non garantiscono un bel nulla sotto il profilo sanitario. Le forze dell’ordine che sanzionano coloro che si aggirano senza le mascherine regolamentari evidentemente considerano validi anche gli stracci colorati privi di qualsiasi certificazione, esibiti come un vezzo, a dimostrazione di quanti imbecilli credano in questo modo di proteggersi dalla temibile infezione. Inventori, produttori, sostenitori delle preziosissime mascherine, legali e non legali, non hanno capito che, forse, solo alcune di loro seriamente controllate con criteri scientifici ci proteggono dal virus in luoghi chiusi e affollati, ma comunque tolgono il respiro all’aperto, mentre lasciano uscire, sia pure deformata e cavernosa la voce dei condannati a portarle. Insomma, se la intenzione più o meno recondita dei sostenitori dell’indumento, che sta trasformando gli esseri umani in masse di alieni, era quella di metterci il bavaglio, hanno, come si dice a Roma, “toppato” e non tappato. Qualcuno si deciderà un giorno a dire “basta”?

Umberto Mantaut

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