Che pena tornare dopo decenni sulle Prealpi piemontesi e notare come, sullo sfondo le cime più alte delle Alpi Graie, si siano trasformate in una cortina di monti scuri di un triste color ardesia sotto un cielo infuocato senza le nubi amiche che di solito in estate dissetavano la Pianura padana, ora giallastra e riarsa come una savana. Nei primi anni ’50, una vita fa, ma solo un istante fa secondo i tempi della geologia, dell’orogenesi e della climatologia, la Bessanase m.3,592 era simile a un gigantesco panettone cosparso di zucchero a velo, mentre la vicina Ciamarella m. 3.676 allungava i suoi tentacoli di ghiaccio fino a quota 2000. All’epoca lo zero termico estivo si collocava fra i 2000 e i 3000 metri di quota. Il manto delle nevi eterne proteggeva i ghiacciai dal rischio di disgelo. Semmai rilasciavano lentamente acque pure e gelide in parte ad alimentare i torrenti di montagna, in parte ad infiltrarsi attraverso misteriosi corsi d’acqua sotterranei che poi sgorgavano in pianura sotto forma di fontanili, indispensabili per irrigare le risaie, vera ricchezza per l’agricoltura del nord. Nel Rifugio Gastaldi al Crot di Balme si dormiva al freddo su giacigli di paglia. Alle 4 del mattino le guide alpine davano la sveglia e offrivano un tè bollente. Poi si partiva per le escursioni ben coperti e con scarponi adatti, ma non certo con gli indumenti firmati e gli attrezzi sofisticati con i quali si fanno fotografare i “fighetti” di oggi. Si affrontavano in assoluto silenzio canaloni franosi e nevai pericolosi, legati in cordata. Dopo le ore 10 bisognava assolutamente tornare al riparo del rifugio. Anche i più sprovveduti sapevano che le ore comprese fra le 10 antimeridiane e le 4 del pomeriggio sono proibitive a causa del pericolo di valanghe, frane di massi instabili e schianti di pareti di ghiaccio. In questi giorni si è verificato il terrificante crollo di ciò che resta del grande ghiacciaio della Marmolada. I mezzi di comunicazione di massa hanno dato grande risalto al luttuoso evento, si sono piante le vittime, cercato responsabili da additare al pubblico ludibrio, ma possiamo essere certi che fra ben poco calerà il solito silenzio, rotto soltanto da prossimi e nuovi annunci catastrofici. Dal monti siamo passati al mare, ai fiumi, i pochi che ancora scorrono, ai laghi e alle piscine per la conta degli affogati. Si narra di un padre quarantenne che, ignorate le bandierine rosse di allerta di burrasca, si è avventurato con due figli fra i cavalloni, magari con la moglie a far le foto col cellulare, perdendo la sua vita, ma soprattutto quella del più piccolo. Allora alla pena subentra la rabbia. Possibile che nessuno ricordi che in montagna a mezzogiorno vengono giù valanghe e frane? Possibile che tutti si ritengano campioni di nuoto anche col mare forza sette? Senza contare gli scavezzacollo che in tante altre circostanze mobilitano elisoccorsi, vigili, volontari, forze dell’ordine per cercare di porre rimedio alle loro imprudenze spesso con esiti fatali? E come al solito chi paga? Oggi, il Rifugio Gastaldi, conservando all’esterno l’aspetto di alpeggio rustico, ospita all’interno un piccolo hotel con ristorante. Il turista-alpinista dopo cena non va a letto presto. Si alza alle nove del mattino, consuma il ricco continental breakfast incluso nel halfboard ed esce alle 10, in allegra cordata per ritrovarsi a mezzogiorno sotto i crepacci con il sole a picco, adatto al selfie da mandare a casa. Il panorama stupendo lo lascia a bocca aperta, come il calciatore che ha appena tirato una palla in rete. Il babbo montanaro, come quello rivierasco, si è portato dietro i pupi per far loro scuola di coraggio. Infagottati in tute termiche rigorosamente firmate, speriamo che limitino i gridolini. A quell’ora con le nevi instabili basta l’eco di un colpo di tosse per scatenare le valanghe. Che almeno per i bimbi Dio la mandi buona. Le petit montagnard è destinato a rimanere quel motivetto orecchiabile, talmente facile che ogni maestra di pianoforte lo assegna come compito per i primi esercizi del principiante.
Umberto Mantaut