Il Lazio è forse l’unica regione italiana rimasta senza bretelle, come dire che è condannata a rimanere in brache di tela. I cittadini sfiduciati hanno dimostrato con l’altissimo astensionismo alle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio che non credono più alle promesse elettorali delle varie parti politiche. Del resto le hanno provate e viste all’opera tutte, di destra, sinistra e centro, e ormai hanno fatto proprio il fatalismo dei popoli di lingua spagnola, quelli sudamericani, che dopo ogni cambio di governo centrale o locale sostengono che “siempre es la misma mierda con diferentes moscas”. Forse la principale disgrazia del Lazio dipende dal fatto che ospita sul suo territorio la capitale d’Italia. Roma,una delle città più belle del mondo è circondata dalla più brutta. Come una piovra estende i tentacoli delle sue periferie prive di qualsiasi ordine urbanistico, senza servizi e con una metropolitana ridicola rispetto a quanto esiste nelle altre metropoli, invadendo buona parte della regione. Un tempo la “mierda” riguardava principalmente il Comune romano ingovernabile, sommerso da tonnellate di escrementi e rifiuti dei suoi abitanti oltre allo sterco dei cinghiali e il guano di gabbiani e storni. Ora, con la ”trovata” dell’area metropolitana priva di termovalorizzatori il malgoverno della “monnezza” si estende anche a molti comuni vicini, salvo eccezioni. Tuttavia, quando si aprono le campagne elettorali regionali, i mosconi che aleggiano sulle immondizie della capitale vanno a ronzare nelle province limitrofe. E qui si entra nell’argomento “bretelle”. A Viterbo promettono da anni l’immediato completamento della bretella autostradale Civitavecchia-Orte che oggi muore nella macchia a nord di Monteromano. Automobilisti, guidatori di autobus e camionisti sanno che la vecchia SS1bis continua ad avere il tracciato di un tratturo etrusco, mentre quella bretella sarebbe essenziale per il traffico fra Civitavecchia, che è il porto di Roma, e il resto del mondo. Inoltre agevolerebbe gli spostamenti verso nord lungo la A1 e la E45 di tutti gli abitanti della fascia costiera a ovest della capitale. A Viterbo, ma sottovoce perché si vergognano, parlano pure del terzo aeroporto internazionale del Lazio che dovrebbe sorgere nella periferia del capoluogo. Immaginiamo un povero passeggero che sbarchi a Viterbo e poi sia costretto a raggiungere Roma con trenini antidiluviani o a bordo di navette sulla Cassia del tempo dei consoli romani. A Latina spergiurano che sostituiranno la Pontina eternamente intasata con una moderna autostrada e poi si andrebbe verso Frosinone e Napoli su una bretella che offrirebbe una alternativa alla A1 nel tratto Roma Sud-Frosinone, afflitta spesso da intasamenti. Per la povera Rieti solo promesse di ritocchi, ossia interventi sulla viabilità ordinaria abbastanza fatiscente. Naturalmente e con facce di bronzo tutti promettono di porre rimedio ai molti disservizi nel settore sanitario, nella assistenza ai disabili, nella edilizia popolare e in altri campi. Questa volta, su una minoranza impressionante di votanti (solo 4 abitanti su 10 hanno ritenuto utile recarsi ai seggi per poi essere presi in giro) è emersa una maggioranza schiacciante per una parte politica. Gli altri, perdenti, questa volta non hanno avuto la solita faccia tosta di dichiararsi a loro volta vincitori avendo perso meno di quanto si aspettavano. Il Governatore lo hanno pescato fra i vari responsabili della sanità, quindi più preparato in materia di barelle e forse meno di bretelle. Sa cosa significa “Pronto Soccorso” e quindi proporrà per il Lazio un ricovero immediato in codice rosso seguito da approfondite analisi per capire come curare i suoi vari cancri. Come sempre annunciano che si tratta di uomo inattaccabile dal punto di vista della serietà e della onestà. Speriamo abbia anche buon fiuto nel circondarsi di persone esperte in materia di viabilità e trasporti. Il Lazio e Roma hanno bisogno di infrastrutture regionali degne di un paese moderatamente civile. Si tratta di una regione assai arretrata rispetto agli standard europei e forse solo un tantino più organizzata delle regioni nordafricane. Nelle strade del Cairo sembra a volte di essere sulla Tiburtina, mentre nel souk di Tunisi è difficile trovare una cicca in terra e non hanno mai visto un cinghiale. Insomma, siamo sempre stati in bilico fra ambiguità arabe, astuzie levantine, caos balcanico e bizantinismi da vecchia Istanbul, tutte strategie di pubblica amministrazione catastrofiche. Non illudiamoci troppo che l’andazzo cambi, ma “fusse che fusse la volta buona”.
Umberto Mantaut