Atene, assai più di Roma, soffre per la perdita del suo antico prestigio. Il suo impero non ebbe l’estensione territoriale di quello romano, ma l’eco della sua cultura è ancora presente in tutto il mondo civilizzato, che oggi, avviato all’abbrutimento e all’ignoranza, non ha solo bandito dalle scuole le lingue madri, ma non ricorda che gran parte del linguaggio culturale e scientifico affonda le sue radici nel greco antico. Leggere, scrivere e parlare greco è retaggio di pochi depositari della cultura classica e bisogna anche riconoscere che il greco moderno si è molto allontanato dalle origini. L’Europa che pretende di dichiararsi unita ignorando le sue radici giudaiche, grecoromane e cristiane, considera la piccola Grecia come una provincia povera. E’ governata da inetti e schiacciata da decisioni prese a Bruxelles che l’hanno massacrata. Ci si va ancora in vacanza nelle sue splendide isole o in tour turistici organizzati con la formula all inclusive che non include il minimo sforzo per contattare e conoscere quel popolo tanto simile a noi. Tutto il nostro splendido sud, a sua volta considerato sottosviluppato, conserva, per fortuna abbastanza bene, le vestigia di quando era Magna Grecia, con città e templi da far invidia al Partenone. Proviamo a conoscere un po’ meglio la Grecia, come si deve, partendo dai contatti con le persone. Pame amesos, andiamoci subito.
AMALIA e DIONIGI – Mezzo secolo fa
Il direttissimo notturno Roma-Torino sferraglia nella Maremma toscolaziale. Come al solito è affollatissimo e in ritardo, sicché avere il posto prenotato non dà molto sollievo vedendo tanta gente nervosa e stipata nei corridoi con i bagagli fra i piedi. Lei, seduta sulla sua valigia gialla, ha un’espressione triste e stanca. Essendo diretta a Pisa, le offro il posto fino a quella fermata, affinché possa riposare meglio. Si chiama Amalia, ventiduenne, appena giunta in volo da Atene. Va dal fratello, Dionigi, che studia agraria all’Università di Pisa. Amalia parla un italiano assai strano. Dopo un po’ m’accorgo che usa molte parole desuete o ricercate: borgo, pineto, firmamento, astri e puledri. Mi spiega che ha appreso la lingua italiana attraverso le poesie e i libretti delle opere liriche. A mia volta le enumero le poche parole e le frasi fatte che ho afferrato durante i soggiorni in Grecia. Prima di scendere a Pisa e presentarmi il fratello dal finestrino, mi dà il suo indirizzo, facendo uno stranissimo spelling del suo nome, Amalia: allà, me, andras, ligo, isòs, agapi (ma-con-uomini-poco-forse-amore). Immagino che Amalia abbia avuto esperienze poco felici e qualche precoce delusione amorosa. Il fratello Dionigi sarà mio ospite a Torino. Abbiamo strane affinità professionali. Anche lui ha studiato agraria più per ragioni estetiche che pratiche. Ama la natura, le piante e gli animali. A Pisa, dove la facoltà è specializzata in zootecnica, cosa ben diversa dalla zoologia, si pensa solo ad allevare gli animali per ammazzarli. Sulle piante s’organizzano irrorazioni di antiparassitari per avvelenare gli stolti consumatori che inorridirebbero a trovare un baco in una mela. Dionigi ama viaggiare e scrivere diari. Amalia verrà a Roma con i genitori e poi ci si vedrà varie volte in Grecia. Particolarmente piacevoli alcune giornate trascorse nella casa al mare degli Tzilias a Nea Makris, vicino a Maratona. Lei mi aiuterà a migliorare le mie scarse doti natatorie, essendo campionessa locale di sport acquatici. Altri tipi di rapporto non hanno avuto possibilità, nonostante la non grande differenza d’età, a causa della diffidenza di Amalia nei confronti degli uomini. Dopo essersi laureata a specializzata in odontoiatria pediatrica, Amalia ha trovato marito, divorziando quasi subito. Ora vive sola ad Atene. Dionigi ha sfruttato per poco tempo in Grecia la laurea pisana in scienze agrarie. Ha aperto un’agenzia di viaggi nel quartiere di Nea Smirni e ha messo su regolare famiglia. I nostri contatti non si sono mai interrotti.
COSTAS e VASSILIS – Tragedie greche
Atene è una delle capitali meno attraenti d’Europa, nonostante la splendida collocazione geografica e l’importanza dei suoi monumenti storici, la sera vive intorno ai locali tipici della Plaka, ma andarci senza amici in fondo deprime. La mia amica olandese, signora Nijhof, che sverna ad Atene nella sua casa nel quartiere di Kolonaki, in agosto si trova in Zelanda. Dalla sua villa sulle fredde rive del Mare del Nord m’invita per telefono a visitare certi suoi amici ateniesi, così potrò fare un’esperienza sorprendente. Vassilis, uno dei pochissimi greci biondi e di grande statura, è un campione sportivo ancora in attività. Ha perso la moglie giovanissimo, rimanendo con la responsabilità di allevare da solo sei vispi maschietti. Si è rivolto al vecchio zio Jorgos, corpulento e di animo femminino. Costui ha assunto la funzione di capofamiglia per la cura dei figli. La strana famiglia vive in un’atmosfera di perenne allegria. Jorgos parla bene l’italiano e si rivela una preziosa fonte d’informazioni sulla vita e sui costumi degli ateniesi. Ogni mattina lascio la città a bordo di un autobus che arriva a Varkisa, località balneare a sud di Glifada, priva di spiaggia sabbiosa, ma con una bella scogliera digradante come una scalinata naturale verso l’acqua cristallina del mare. Tuffarsi è un piacere, ma è assai meno divertente cercare di tornare sulla terraferma. Un giorno, dopo vari tentativi, ginocchiate ed escoriazioni sugli scogli, sbatacchiato da onde improvvisamente troppo pericolose, mi dà una mano nel vero senso della parola un giovane locale. Si chiama Costas Partidas, parla perfettamente francese, mi racconta che è impiegato presso una multinazionale, ma è molto malcontento del lavoro e della vita. Costas vive in Odos Tzabella, nel centro di Atene in una casa modesta. La condivideva con una parigina che lo aveva abbandonato per incompatibilità di carattere. Lui soffre di nostalgia per il suo paese natale, Amfissa, nei pressi di Delfi, ma il suo sogno sarebbe Parigi. Dopo una cena a casa di Vassilis e Jorgos, quest’ultimo, avendo osservato Costas per tutta la serata, mi spiega che i greci si dividono in due categorie: quelli ottimisti come i componenti della loro famiglia e quelli pessimisti, pertanto negativi. Non per nulla, la Grecia è nota nel mondo per la tragedia. Costas, dopo la serata dagli amici ottimisti, non riesce a capire come possano essere tanto allegri sotto lo sguardo della mamma defunta, presente a tavola sotto forma di una fotografia con il volto a grandezza naturale dagli occhi intensi, ma già presaghi di una morte prematura. La donna ha una stranissima somiglianza con la vedette greca Nana Mouskouri. La grande cantante di musica leggera ha lanciato in tutto il mondo la celebre canzone “Les enfants du Pirée”. Costas me la fa conoscere in greco insieme ad altre canzoni famose, molte delle quali tristi, nonostante la vivacità dei ritmi. Fra i pregi di Costas c’è la passione per la musica e per il teatro. Molto piacevoli le serate di spettacolo di danze greche a cura di Dora Stratou. Con l’aiuto dei testi delle canzoni e dopo quasi un mese di soggiorno in Atene incomincio a comunicare in greco con la gente, almeno per quanto riguarda i problemi di sopravvivenza. Purtroppo, Jorgos ha definito esattamente Costas. E’ un personaggio tragico e masochista! Venuto a Roma si scopre che, oltre a veder tutto in nero sembra sempre contrariato e invidioso. Dopo un bel giro tematico delle fontane di Roma, il suo commento di fronte all’Esedra è una critica per l’eccessivo spreco d’acqua. Atene ha problemi estivi per la carenza di acqua potabile. Il Duomo d’Orvieto, definito da Costas “un milagre”, è scambiato per un dono del cielo che i poveri greci non potranno mai permettersi, poiché dopo la fine dell’antica civiltà il paese non si è mai più ripreso, secondo lui, e non avrà mai una capitale come Roma o Parigi. Tornando a più riprese in Grecia e approfondendo le amicizie, con gli anni comprendo quanto aveva ragione Jorgos nel dire che i greci tragici hanno anche il potere di deprimere il prossimo e di portare una certa sfortuna. Al pessimismo s’aggiungono spesso l’indolenza e l’indecisione. L’abitudine a vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, finisce per attirare le sventure, nelle quali poi crogiolarsi in un esercizio di autocommiserazione assai penoso. Un giorno, dopo un viaggio ad Amfissa e Delfi, Costas voleva rientrare prendendo un certo espresso Corinto-Atene, aggiungendo che le ferrovie greche sono qualcosa di “tromeròs”, terribile. Costretto da me a viaggiare in autobus, forse anche più scomodo, ma meno costoso e dall’itinerario molto panoramico, arrivati in città si seppe che quel treno aveva avuto un incidente con molte vittime. A Costas andavano sempre male i concorsi e i colloqui per ottenere un posto di lavoro migliore. In effetti, si presentava in abito scuro con l’espressione dell’impresario di pompe funebri che va a concludere un contratto per un funerale. Lo costrinsi un giorno a recarsi preventivamente al santuario del Monte Pendeli, recitare una bella preghiera e fare un’offerta. Il giorno della prova lo invitai a indossare un abito chiaro e a pensare a certe barzellette divertenti, lette sul Reader’s Digest prima del colloquio in inglese con il responsabile delle assunzioni. Ottenne il posto in una ditta americana, ma dopo poco incominciò a dire che si stava meglio con i francesi che lo pagavano poco e lo trattavano peggio. Ogni volta che volavo ad Atene e c’era lui di mezzo gli aerei avevano ritardi o guasti. Purtroppo, quando ci si rende conto che una persona è irrimediabilmente negativa, pur con un certo dispiacere occorre prendere le distanze. Con i pessimisti è abbastanza facile. Aspettano sempre che siano gli altri a prendere le iniziative, sicché, quando si diradano lettere, telefonate e inviti, anziché preoccuparsi e cercare d’essere più solerti e partecipativi, assumono l’atteggiamento della vedova calabrese, la quale, figlia della Magna Grecia, nerovestita, immusonita e con i capelli unti e scompigliati per la disperazione, commemora in eterno il marito morto ammazzato per una storia di corna.
IL PIANTO GRECO – GIUGNO 2013
Frequentando la Grecia e vivendo a Roma mi sono sempre domandato con sgomento come mai i grandi fari di civiltà, i punti di riferimento per la cultura occidentale, i maestri del saper vivere, le culle dei moderni sistemi di governo e i dominatori del mondo antico si siano ridotti al rango di potenze minori, arretrate dal punto di vista delle virtù civiche, con tendenza al parassitismo e alla squallida pratica dell’arrangiarsi, piuttosto che all’arte d’organizzarsi saggiamente. Atene e Roma s’assomigliano con piccole differenze. La capitale greca è più balcanica con abitudini levantine e qualcosa di mediorientale. Roma è a sua volta poco europea, ma possiamo consolarci affermando che è la città più bella dell’Africa del nord. Greci ed italiani hanno caratteristiche comuni, specialmente a livello di difetti. Prima dell’avvento della famigerata dittatura del colonnelli, i greci alternavano comportamenti apatici e disordinate manifestazioni ed agitazioni di tipo sociale. Colpiva il fatto che la Grecia vivesse un momento di boom economico, nonostante quell’oziare nei bar con l’immancabile “komboloy” fra le dita di anziani mesti e giovani sfaccendati. Persino i mercanti, ovunque attivi alla conquista di clienti, sembravano seccati nel doversi alzare da certe loro poltrone sulle porte dei negozi per doversi occupare nel servire un passante. Il greco medio si mostrava generalmente pessimista, tendente a lamentarsi e a dare la colpa agli altri di certe arretratezze del paese, molto più marcate nella provincia rispetto alla caotica capitale. Il traffico di Atene era incredibile, come a Napoli, un carosello diurno e notturno di veicoli a tutta velocità con segnali acustici di tutte le tonalità, in una città sostanzialmente oziosa e poco produttiva. Tutto ciò era bollato dai greci con un aggettivo, “tromeros”, che significa terribile, ma nessuno si curava di mettere un po’ d’ordine, qualche regola, qualche sanzione. Più che in Italia, nella Grecia della seconda metà del secolo scorso erano evidenti le disparità sociali. Sottosviluppo e miseria caratterizzavano certi quartieri periferici, eccessi di benessere si notavano nei centri residenziali della ricca nuova borghesia del miracolo economico che in Grecia, come in Italia, ebbe momenti parossistici con gli eccessi della “dolce vita” e del consumismo. La sinistra anche in Grecia immatura e maldestra aveva le sue ragioni per chiedere un riequilibrio e una migliore ridistribuzione del benessere, ma dimenticava che è pericoloso spaventare la borghesia, che favorì l’avvento dei colonnelli. Sotto quel regime sembrava tornato un po’ d’ordine, al prezzo insopportabile della perdita delle libertà e anche della dignità. Ero in Grecia, esattamente ad Amfissa, nei giorni del referendum popolare per dire “né” (che in greco significa sì) alla nea Sintagma, la nuova Costituzione voluta dai perfidi militari al potere. In massa i greci andarono a votare favorevolmente, anche se nessuno li avrebbe obbligati o avrebbe potuto spiarli nel momento di apporre la loro crocetta sulle schede. Come noi italiani pronti ad applaudire a scena aperta l’ultimo gaglioffo, purché prepotente e di bella presenza, i greci si sono poi liberati dal giogo di tipo fascista, tornando alla democrazia, non tanto per la coraggiosa resistenza di pochi eroici elementi locali, bensì per le pressioni degli altri paesi europei. Insomma, Atene passò ad agganciarsi al treno della U.E., sia pure come vagoncino di coda, un po’ troppo spostato ad oriente e, forse, su un binario a scartamento ridotto. Abbandonata la gloriosa dracma per il “forte” euro, i greci devono aver pensato di essere diventati ricchi e di potersi ancora permettere di giocherellare tutto il giorno al bar con il komboloy fra le mani. Puntavano tutto, come noi italiani, sulla bellezza e sulla cultura, sul dolce clima e la delizia dei paesaggi, sul mare blu e “’o sole mio”, insomma sui turisti in arrivo con l’euro forte da spendere a piene mani da Rodi a Corfù, passando per Mikonos, Egina e Poros, gironzolando fra le vestigia del Peloponneso, immortalandosi con la foto ai piedi del Partenone. Si giocava anche sulle danze greche, il bel canto, il buon cibo nelle taverne della Plaka, il pesce fresco del Pireo e il tramonto a Capo Sounion. Produrre, risparmiare, amministrare bene senza fare la cresta, presentare i conti in ordine, sono tutte cose con verbi che non trovano riscontro nei dizionari italo-ellenici, in Grecia e in Magnagrecia, dal verbo “magnare”, romanesco, ma usato molto anche dai politici del nord. Così oggi siamo al “pianto greco” che frutta come quello partenopeo, ma non sembra commuovere troppo la madrina o matrigna Germania, ormai convinta di essere lei l’Europa, con un popolo di razza pura e una moneta quotata più del dollaro. Ora i greci conoscono le delizie della disperazione che da noi è ancora soltanto a livello di mugugno, da non confondere con Modugno, e dello “staremo a vedere”, anche perché, avvezzo a volare nel blu dipinto di blu, l’italiano medio non ha mai tenuto i piedi per terra. E’ il giugno della primavera freddina dell’anno 2013 anche nelle isole Ionie. Si arriva a Corfù in una mattinata di sole, che non scalda. L’isola è sempre ridente, immersa nel suo ambiente splendido, un po’ Isola d’Elba, un po’ isole Tremiti, qualcosa di siciliano o pugliese, spiagge sarde e colli toscani. Dal porto si sale in città mediante una navetta che conduce alla “Esplanade”, la piazza con giardini più grande della città. Il passeggio elegante si svolge sul “Liston” di veneta memoria, ma le bellezze della cittadina si nascondono nei vicoli del centro vecchio, simili a calli veneziane con antiche chiese e palazzetti nobiliari spesso con finestre a bifora come quelle che si vedono nei campielli della Serenissima che qui ha dominato lasciando un’inconfondibile impronta. Ricordavo una Corfù più raccolta che fungeva da tappa d’obbligo nei viaggi per mare dall’Italia all’Epiro e al Peloponneso, più greca e meno internazionale e non ancora votata al turismo di massa. Oggi tutti i locali, gli appartamenti, le rimesse e persino i sottoscala lungo le viuzze pittoresche sono stati trasformati in botteghe per la vendita di souvenir. Non ci si limita all’artigianato e ai prodotti gastronomici locali, si vende di tutto, abbondando in gadget inutili e orripilanti. I turisti affollano le vie, guardano e non comprano più nulla, non alzano lo sguardo sulle vere bellezze della città, frastornati da quell’orgia di offerte per tutti i gusti, specie i cattivi gusti e per tutte le tasche. Sembra entrata in crisi anche la spedizione di cartoline con i saluti da Corfù. I passanti hanno tutti gli occhi occupati a mandare messaggini con i cellulari. Meditando si giunge a certe conclusioni. La crisi economica che ormai rischia di travolgere tutta l’Europa, compresa la Germania “über alles”, è forse come una forma acuta di indigestione con conati di vomito. Dopo anni di shopping compulsivo le case degli europei rigurgitano di oggetti inutili, in gran parte brutti. Tavoli, ripiani dei mobili, mensole, librerie non hanno più spazi liberi per altra paccottiglia. I cassetti non si chiudono più per raggiunto “troppo pieno”, aprendo gli armadi si rischia di provocare una valanga di abiti, stoffe, tovaglie, cuscini ricamati, e altre cose stipate fino all’inverosimile. Siamo nauseati dalle collezioni di gufetti, tartarughine, bamboline in costume, ceramiche multicolori, vetri di Murano, torri Eiffel, nacchere, statuine di finto marmo e altre amenità. I produttori di souvenir forse non hanno capito che la festa sta per finire, i negozianti hanno stipato le loro vetrine ed ora, ovunque e non solo a Corfù, stanno sulla soglia ad osservare la massa dei turisti che guarda, non compra e va oltre fino al momento di raggiungere quella forma di capogiro che colpisce dopo aver visto troppi oggetti e troppi colori. Si riparte. Una nottata di navigazione lenta passando davanti alle coste montagnose dell’Epiro e poi al largo nello Ionio meridionale. Si giunge a Cefalonia, la maggiore fra le isole Ionie, gettando l’ancora nella baia di Argostoli. Con le lance si effettua il trasbordo a terra in una cittadina che ha perduto tutte le sue vestigia veneziane a causa del terribile terremoto del 1953. Il nuovo centro urbano sembra una piccola Messina, con case basse allineate lungo vie rettilinee o affacciate su grandi piazze quadrate. Qui regnano l’ordine e la pulizia, ci sono molti alberi in fiore, il lungomare è arioso e soleggiato, ma non si nota nulla di particolarmente attraente. Si scopre che in un bar moderno un caffè e una spremuta d’arance costano più che a Roma in un locale di lusso, ma nei negozi tutta la merce è offerta in saldo. Come a Corfù i venditori stanno sconsolati sulle porte delle botteghe senza clienti. Decidiamo di comprare un pantaloncino in un negozio di abbigliamento. La proprietaria si fa in quattro per servire e proporre altri acquisti. Mi dice qualcosa parlando molto svelta e terminando con un “me katalavenete?” (mi capite?). La prego di parlarmi “argà” (lentamente) spiegandole che “den kataleveno panda i ellines otan milun, iatì milun grigora” (non capisco sempre i greci quando parlano, perché parlano in fretta). Ripete tutto e realizzo che mi sta dicendo che la situazione greca è terrificante, dopo l’avvento del maledetto euro le cose sono andate di male in peggio e tutti rimpiangono la gloriosa dracma. Anche da noi qualcuno si sta convincendo che con le vecchie lire si viveva meglio. Sul tardi le lance ci riportano a bordo. Si riparte verso la Croazia. La sera nelle boutique lussuose della nave da crociera si apre una vendita a saldo. La gente osserva, tocca, commenta e, nonostante i forti sconti non compra quasi nulla, soprattutto le donne. Brutto segno!
Pireo e Atene oggi
Un greco a Olimpia mi ha confermato che Nana Mouskouri ottantenne è viva ed abita stabilmente in Svizzera, ma a volte canta ancora. Negli anni ’60-’70 la bellissima cantante di origini cretesi era talmente famosa ed amata che quasi sempre gli autisti di taxi di Atene, durante il servizio, canticchiavano una delle sue canzoni più belle e più greche, “Ta pedia tou Pirea”, i fanciulli del Pireo, tanto che alla fine mi accorsi di conoscerla a memoria nella lingua originale. Tornare al Pireo dopo tanti anni commuove ed anche turba. Forse già un tempo il vecchio porto ateniese aveva perduto il fascino del borgo di pescatori e dello scalo per vecchi lupi di mare. Sembrava già allora un terminale internazionale e sul lungomare si costruivano grattacieli, ma fra le vecchie case, nelle strade del Pireo e di Faliron, nelle piazze affollate dello storico “limani” si potevano riconoscere le finestre dalle quali la cantante osservava il volo dei gabbiani, le porte oltre le quali incontrava tante persone amate e poteva seguire i giochi dei fanciulli, futuro e gloria della Grecia. Oggi il Pireo si è dilatato con altri moli gestiti dai cinesi, accoglie navi enormi, si presenta come lo spezzone sul mare di una metropoli moderna, convulsa e sostanzialmente priva di grazia. Si decide di andare al centro per rivedere l’Acropoli. Molti amici mi raccomandavano di non farlo, perché a loro avviso l’Acropoli stava perdendo molto del suo fascino misterioso per trasformarsi in una scenografia holliwoodiana, a causa di restauri eccessivi. Se l’archeologo si improvvisa anche architetto moderno è assalito dalla strana febbre della ricostruzione del sito “dov’era e com’era”. Quando qualche tessera del puzzle manca, perché irrimediabilmente perduta, si utilizza una copia “fedele”, falsa. I monumenti risorgono e, intorno, con piante, scale e muri posticci si crea una specie di palcoscenico per film d’epoca. Il turista di massa gongola e sfoga la sua libido fotografica, il romantico soffre perché i luoghi hanno perduto il loro incanto. E’ consolante soltanto pensare che forse i grandi interventi arrestano l’inesorabile degrado. L’Acropoli ateniese, come una regina centenaria, sedeva immobile sul suo trono di roccia a scrutare severa la città dilatatasi senz’ordine sulle alture circostanti e verso il mare, come una metropoli moderna e caotica. Immaginiamola come una “signora” nobile e dignitosa alla quale si applica un lifting eccessivo, appesantito da un trucco grottesco come per certe donne che non si rassegnano ad invecchiare. Il risultato è più triste che ridicolo. Sebbene “Akropoli” sia oggi una moderna stazione di metropolitana, scavata sotto l’Olimpieion e dal Pireo ci si possa arrivare con cambio di linea a Sintagma, decidiamo di prendere un autobus. Il viaggio in piedi è faticoso nel traffico intenso della città, ma ci si rende conto di molte cose. Intanto ci si domanda dove sta la crisi economica. Ad ogni semaforo ingorghi di auto nuove di grossa cilindrata, sui marciapiedi la folla delle grandi città, indaffarata e dedita allo shopping in negozi sfavillanti. Le due grandi arterie che uniscono Atene al suo porto, Pireos Tsaldari e Singrou, che un tempo attraversavano aree periferiche assai povere, oggi tagliano quartieri irti di grandi edifici residenziali e per uffici, moderni ed eleganti, da Neo Faliro a Nea Smirni e Kalithea, da Moshato a Tavros. Verso il centro il traffico si fa sempre più intenso, ma più ordinato di un tempo e la città sembra molto meno inquinata di alcuni anni fa. All’Acropoli si deve comunque salire ancora a piedi e non è impresa facile sotto il sole cocente. Dall’Odòs Dionissiou Areopagitou le rampe s’addentrano in un sistema di giardini con vegetazione mediterranea che circonda e abbellisce il teatro di Dioniso e lo stupendo Odeon di Erode Attico, per la verità magnificamente restaurato. Si raggiunge la Porta Beulé, l’archeologo francese che scoprì nel 1852 quella che era l’unica porta d’accesso al’Acropoli. Seguiva una scalinata che saliva ai Propilei. Era in rovina, ma è stata molto ripristinata con un esito di dubbio gusto. La folla dei turisti ora sale fra quinte teatrali, come dovesse andare ad assistere a un’Aida verdiana all’Arena di Verona. Pericle indubbiamente volle fornire l’Acropoli di un ingresso monumentale ed ancora oggi i Propilei sembrano annunciare ai visitatori increduli la maestosità del cuore dell’Atene storica, come gigantesche strutture in equilibrio apparentemente precario sullo strapiombo che s’affaccia sull’Aeropago e l’Agorà sottostanti. Finalmente si arriva al cospetto del Partenone a destra e dell’Eretteo a sinistra, il magnifico tempio della dea Athena e quello più piccolo, capolavoro di stile ionico dedicato ad Athena Poliás e Poseidon Erechtéus. Questo meraviglioso tempietto al quale si poteva assistere alla grandi cerimonie delle Panatenee è famoso soprattutto per il suo portico delle Kórai, le Cariatidi, ma oggi le preziose statue che si vedono qui sono copie, una è a Londra, le altre nel museo archeologico di Atene dal 1977. La maestà del Partenone si spera sia destinata a rimanere intatta, ma oggi il monumento è spesso in parte ingabbiato da impalcature di “buona volontà”. Tuttavia alcuni interventi sembrano “finiti”, ma per ora e finché il tempo non avrà steso il suo velo pietoso e “antichizzante” si presentano come toppe troppo chiare e nuove su un tessuto antichissimo e prezioso. Considerando che già le Cariatidi sono copie, si potrebbe semmai pensare di riprodurre almeno alcuni dei meravigliosi fregi che si ammirano al British Museum e che Londra si guarda bene dal restituire agli ateniesi. Dagli spalti e dal belvedere i turisti ammirano la grande Atene, adagiata fra il mare e i colli dell’Attica, una metropoli dai colori chiari, con poche aree verdi e al centro le due alture dell’Acropoli e del Licabetto. Ancora in piena estate la città è oppressa dalla calura appesantita dall’inquinamento da traffico. L’impressionante folla di turisti scende dopo la visita dell’Acropoli ad affollare i bar ai piedi del monte, dove un caffè si paga più caro che a Roma, e visitano i negozi dei soliti souvenir e i mercati. La gallina dalle uova d’oro del turismo almeno in Grecia sembra che abbia ripreso a ovideporre, aiutando il paese ad uscire dalla crisi. Un improvviso acquazzone di tipo tropicale rinfresca le automobili ferme a migliaia negli ingorghi stradali. Sugli autobus si sta in piedi e stipati. Il nostro ridiscende lentamente verso il Pireo, mentre il sole ritorna a splendere sulle navi bianche che affollano il “limani”. E’ giunta l’ora di salpare per far ritorno a casa.
Umberto Mantaut