Il Guadalquivir, sulla cui riva destra s’adagia la città di Cordoba con lo sfondo della Sierra Morena, non ha qui l’ampiezza e la calma dello stesso grande fiume quando attraversa Siviglia. L’acqua scorre con vivacità torrentizia sotto il poderoso ponte romano, attribuito ad Augusto. In mezzo al fiume si notano vecchi mulini arabi. Il ponte unisce da secoli le due sponde, fra la Torre Calahorra e la Puerta del Puente, e attraversandolo ci si trova al cospetto della fantastica Cattedrale. Era la Medjid-al-Djâmía, la moschea più vasta del mondo dopo la Caabah della Mecca. Fra il 785, anno della sua costruzione sul sito di una precedente chiesa visigota di San Vincenzo, e il 1236, anno della conquista cristiana, fu il maggior tempio musulmano in terra europea. I sovrani spagnoli pretesero il rispetto del monumento, anche dopo la sua consacrazione all’Assunta, ma purtroppo, nel 1523, il Capitolo decretò la distruzione di una parte dell’interno per erigervi il Crucero, un orrore barocco portato a termine nel 1599. Fortunatamente, l’intervento per realizzare la chiesa cattolica, con l’alta e incongrua cupola ovoidale e lo sfacciato sfarzo plateresco e churrigueresco, ha danneggiato solo una parte delle diciannove navate longitudinali e delle trentasei trasversali della moschea. Entrando si prova ancora l’emozione d’attraversare un’ombrosa selva di colonne (850), con i capitelli romani e visigoti raccordati da archi di pietre rosse e bianche. Tutti i marmi e le migliori pietre da costruzione del mondo mediterraneo sono presenti nel favoloso colonnato. Re e imperatori fecero a gara nell’inviare a Cordoba materiali preziosi per abbellire la moschea. Nella Kebla o Capilla del Zancarrón era custodito l’osso del piede di Maometto. Arabeschi e mosaici ornano tuttora il mihrab dov’era esposto il Corano. Tale assoluta meraviglia, di incalcolabile valore architettonico e culturale, fa parte della nutrita collana di siti spagnoli protetti dall’UNESCO fin dal 1984. Visitando più volte il tempio, in stagioni ed orari differenti, s’apprezzano ancor di più e sotto luce diversa le straordinarie policromie di questa Mezquita-Catedral, inoltre Cordoba ha un interessante centro storico tipicamente andaluso e gli abitanti sanno vivere bene, memori della cultura e delle mollezze arabe. L’inverno in questa parte continentale della penisola iberica è caratterizzato da un freddo secco e pungente. I pochi mattinieri, di solito i turisti, affollano i locali dove si serve il prelibato e bollente “chocolate con chiurros”, che sembrano gustosi grossi grissini fritti e zuccherosi. L’estate è torrida ma altrettanto secca e per fortuna i lunghi e prelibati pasti, specie la cena a ora tarda, si consumano in locali refrigerati. Nella primavera del ’95, tornando a Cordoba come guida di un famigerato gruppo di 179 studenti di un liceo romano e di 12 loro professoresse atee e più incivili degli allievi, la visita della Mezquita fu particolarmente penosa. Nell’indifferenza generale, con un uditorio distratto e vociante, furono inutili gli sforzi per attirare l’attenzione di quella ciurmaglia sulle meraviglie del tempio e le sue particolarità architettoniche. Tuttavia, proprio in quell’occasione accadde qualcosa di singolare. Fra i ragazzi c’era un cieco dalla nascita, l’unico attento, tenuto per mano da un compagno. Ritornati in albergo, durante una riunione per commentare la giornata, il non vedente prese la parola: “Avete visto la bellezza delle colonne?”. La professoressa di scienze, dall’intelligenza di palmipede e la sensibilità da pachiderma, lo investì: “Ma di che stai parlando? Tu non sei in grado di usare il verbo vedere”. La sciagurata era evidentemente ancora nervosa per essere stata trattenuta fuori della cattedrale, perché in abbigliamento sconveniente e con la sigaretta accesa in bocca. Il cieco riprese: “Io le ho viste. Noi ciechi distinguiamo materiali e colori al tatto. Nella Mezquita ho toccato quante più colonne possibile. Ci sono tutti i marmi migliori del mondo, il diaspro verde e quello violetto, preziosi porfidi rossi egiziani, le rocce intrusive più diverse per colore e grana dei cristalli, dioriti, sieniti, graniti, gabbri e peridotiti”. Continuò a lungo, osservando come la chiesa cristiana ricavata al centro della moschea abbia alterato con la sua cupola e la luce dei suoi finestroni il misticismo delle ombre del colonnato arabo, aggiungendo che il pesante stile churrigueresco e gli ori barocchi sono un pugno in un occhio, rispetto agli arabeschi e ai mosaici delle origini. Evidentemente il ragazzo che lo accompagnava aveva contribuito a prestargli gli occhi e sapeva argomentare meglio delle presunte insegnanti. Per nostra fortuna fra i ragazzi di oggi esistono ancora giovani preparati, autodidatti, con doti commoventi. Sul portale della Mezquita-Catedral di Cordoba dovrebbero apporre un cartello: “In questo magnifico luogo sacro, patrimonio dell’umanità, si entri in abbigliamento appropriato e con animo attento. Chi non ha occhi per vedere, orecchie per apprendere e bocca per pregare se ne stia in casa propria”.
Umberto Mantaut