Che noia il Lussemburgo! Ce lo troviamo fra i piedi e bisogna attraversarlo in tutti i viaggi attraverso l’Europa nord-occidentale, ma non desta desideri di soste lunghe, soggiorni e meno che mai la voglia di andarci a vivere. Sembra un vecchio corpulento, ricco, sprofondato in una lussuosa poltrona, circondato da ninnoli preziosi, fuma sigari costosi e parla soltanto di denaro, del modo di farlo, di moltiplicarlo, di accumularlo. Non ha altri argomenti, nonostante sia circondato da una natura idilliaca, a sua volta un po’ monotona, poiché non ci sono montagne spettacolari, solo colli ameni rivestiti da fitti boschi, manca il mare, non ci sono laghi, ma piccoli corsi d’acqua che solcano valli, per la verità magnifiche con villaggi che s’assomigliano tutti nell’ordine rigoroso, nella pulizia, nella severità scontrosa dei castelli e delle parrocchiali. Alla capitale non è stato dato un nome per nulla fantasioso, si chiama Lussemburgo, come l’intero stato, entità piccolissima rispetto alle altre nazioni europee, ma importante come sede di prestigiose istituzioni comunitarie e organismi finanziari di prima grandezza. A Lussemburgo si trovano la Corte di Giustizia, la Corte dei Conti, la Banca degli Investimenti, il Segretariato Generale del Parlamento, tutti organismi europei, ovvero d’importanza continentale. Pertanto, Città del Lussemburgo ostenta fierezza e nobiltà. I sovrani sono Granduchi. Il centro storico fortificato è cinto da mura e bastioni monumentali e intorno possiede una fascia di meravigliosi giardini, quasi allo scopo di tenere lontano il volgo, che qui è una popolazione ricchissima e superba, ma vive un po’ distaccata nei quartieri residenziali delle prime periferie, in case stupende, mimetizzate fra giardini curatissimi e, s’intuisce, dotate di strette misure di sorveglianza contro gli intrusi. Dal 1994, ciò che resta della città fortificata è sotto l’ala protettrice dell’UNESCO. Infatti, la Fortezza, almeno per le parti sopravvissute agli smantellamenti ottocenteschi, dimostra ancora che il sito rappresenta il più importante esempio di struttura difensiva europea, ritenuta inespugnabile come la lontana Gibilterra.
La Fortezza Lussemburgo fu occupata soltanto da Filippo il Buono dal 1443 e poi soggiogata dai francesi nel 1795. La visita è interessante, il luogo magniloquente, ma non desta particolari emozioni. Per il resto i boulevard della cintura e le avenue radiali sono tutto un susseguirsi di banche in edifici moderni scintillanti, grandi compagnie d’assicurazione, sedi di rappresentanza di colossi industriali e finanziari europei e mondiali. Il costo della vita è proibitivo e le vetrine rigurgitano di beni raffinati dal prezzo esorbitante, di un lusso sfacciato, ma una volta tanto raffinato. Un torrente, quasi montano, serpeggia in un vallone che abbraccia il centro, quasi un ulteriore barriera, questa volta naturale, da attraversare su ponti che non sono levatoi, ma poco ci manca, per raggiungere e visitare i sontuosi, antichi palazzi nobiliari della città vecchia. Dalla bella Place de la Costitution s’ammira un grandioso panorama sul vallone della Pétrusse con il viadotto ottocentesco e lo storico pont Adolphe progettato nel 1903 dall’ingegnere francese Séjourné. La Pétrusse cambia curiosamente nome a metà del suo corso cittadino e diventa la placida Alzette, in direzione del grande Parc des trois Glands e l’enorme complesso moderno degli edifici della Comunità Europea, della quale il Lussemburgo è il terzo polo dopo la vicina Bruxelles e la troppo lontana Strasburgo. Ciò complica la vita di funzionari e politici europei, con costi esorbitanti per le tasche di noi tutti, ma guai a parlare di concentrare tutto in una sola capitale. Si rischia una guerra per la supremazia fra Francia, Belgio e Lussemburgo. Dopo poche ore nel pacifico e poco affabile Granducato, si riparte per altra destinazione, senza rimpianti e solo pochi ricordi. La ricchezza è bella ma non comunica calore, desta ammirazione ma poco affetto, è scostante e fredda. Al Lussemburgo non si può dire addio, ma sempre e soltanto un “Au revoir mon petit Luxembourg”.
Umberto Mantaut