L’Atomium è stato inaugurato nel 1958 in occasione dell’Expo, ma è destinato a diventare uno dei simboli di Bruxelles, come la Tour Eiffel per Parigi, emblemi brutti ma con la virtù della modernità per città dotate di ben migliori monumenti. L’Atomium è un’impressionante molecola di cristallo di ferro ingrandita 165 miliardi di volte, 100 m. d’altezza, 9 sfere d’acciaio di 18 m. di diametro, collegate da tubi con 3 m. di diametro, lunghi 29. Il mostro domina il magnifico parco reale di Laken, a poca distanza dallo stadio Heysel e dal Planetarium. Arrivando da Ostenda, l’Atomium si presenta come una visione d’argento in una serata luminosa, con la città lavata dalla immancabilepioggia e avvolta nella luce rosea del lungo tramonto estivo, ma poi ho visto per la prima volta la Grand’ Place di notte. I belgi ritengono che sia la più bella del mondo, forse non è così, ma di certo è una delle più straordinarie. Architetture diverse in armonia fra loro fondono in un grandioso quadro rinascimentale elementi italici e gusto fiammingo. Su tutto domina la “Tour inimitable” del municipio gotico che fronteggia la Maison du Roi, oggi museo della città di Bruxelles, sorta come Broodhuis o mercato del pane, rimaneggiato nel 1500 e mai destinato a reggia. Tuttavia, la particolarità della piazza è legata allo straordinario succedersi dei frontoni delle case delle corporazioni e delle famiglie nobili. I nomi degli edifici sono spesso legati alle ricche decorazioni dorate e alle opere d’arte incorporate nelle facciate o innalzate sui pinnacoli. La casa più fastosa, Maison des Ducs de Brabant, occupa tutto il lato orientale della Grand’Place, ma il lato ovest è assai più fantasioso con le magnifiche case dei fornai, del re di Spagna, della carriola, del sacco, degli ebanisti, della lupa, del corno, dei battellieri, della volpe e dei merciai. Per rimanere abbagliati dall’oro dei fregi dei palazzi del lato meridionale, bisogna tornare sulla Grand’Place di giorno in una delle rare mattinate di sole di Bruxelles. La casa della stella, la maison au Gygne in stile Luigi XIV della corporazione dei macellai, quella dell’albero d’oro, dei birrai, della rosa e dei tre colori, rispendono in tutta la loro magnificenza. Intanto, nell’ombra del lato nord della piazza, oltre la Maison du Roi, spiccano per i loro ornamenti le case del pavone, della quercia, della scialuppa d’oro o dei sarti. Appare superfluo dire che questo insieme incredibile di meraviglie architettoniche è un sito protetto dall’UNESCO fin dal lontano 1998. Il prestigioso ente internazionale giustifica la protezione con questa frase: “La Grand Place di Bruxelles è un corpo straordinariamente omogeneo di edifici pubblici e privati, risalenti principalmente alla fine del XVII secolo. L’architettura fornisce una vivida illustrazione del livello di vita sociale e culturale del periodo in questo importante centro politico e commerciale”. La Grand’Place è luogo d’incontro e di sosta negli antichi caffè sia dei “bruxellois” sia dei numerosi turisti. Questi ultimi s’inoltrano poi a frotte nella stretta Rue de l’Étuve, a sinistra del magnifico Hôtel de Ville, perché, dopo la via del Lombardo, all’angolo con la Rue du Chêne o vicolo della quercia, si trova l’altra icona di Bruxelles, il Manneken Pis. E’ una statuetta di bronzo di un bimbetto nudo intento a fare la pipì. Si tratta di un’opera rinascimentale (1619) di Duquesnoy padre. Il bimbo, figlio di un notabile locale, si era smarrito. Lo trovarono ad un angolo di strada in quell’infantile atteggiamento e il padre riconoscente volle donare alla città la statuetta simbolo. In difesa delle pari opportunità fra i sessi, un burlone ha fatto sistemare nella nicchia di un palazzo di un vicolo del centro storico la statuina di bronzo di una bimba nuda intenta a fare la pipì. La chiamano affettuosamente la Jeanneken Pis. Intanto, in un museo sono stati raccolti tutti i vestitini che nel tempo sono stati cuciti addosso al Manneken Pis, per addobbarlo in determinate occasioni con costumi simbolici. La capitale belga non è stata scelta a caso come capitale d’Europa. Si trova in un punto strategico di passaggio per chiunque viaggi attraverso il vecchio continente dall’Inghilterra alla Germania, dalla Spagna all’Olanda. Bruxelles è una tappa d’obbligo per le auto che percorrono le grandi autostrade europee che si raccordano nel grande ring della metropoli del Belgio. Bruxelles è un terminale di linee ferroviarie ad alta velocità che portano a Parigi, Amsterdam,
Colonia e Londra, passando sotto il tunnel della Manica, in circa due ore. Il grande aeroporto di Zaventem, vicino al centro, e quello di Charleroi, nella provincia, sono collegati con tutte le città d’Europa anche con molti voli low-cost, nonostante i grandi hub siano sempre Parigi, Amsterdam e Francoforte. Bruxelles sta commettendo un errore che Parigi ha accuratamente evitato, esiliando verso la Defence l’inevitabile selva di grattacieli che s’impone nelle grandi metropoli mondiali e, pertanto, anche nella vecchia Europa. A Bruxelles le torri di vetro e cemento invadono spazi che avevano un loro charme decadente, ma squisitamente belga. Di giorno in tutte quelle sedi per euroburocrati e società multinazionali s’affollano impiegati poliglotti e frettolosi che approfittano delle brevi pause per passeggiare nel grande Botanique, nei parchi e nei giardini. Di notte, quasi a voler trattenere in centro un po’ di vita, le vertiginose facciate si riempiono di giochi di luci visibili a grande distanza nella bruma che avvolge la città che va a letto presto. Nei pressi della Grand’Place e nei vicoli che si dipartono dalle Galeries Royales il centro è vivo solo in funzione dei turisti. Innumerevoli ristoranti fanno a gara nell’esporre su ghiaccio tritato, foglie e fiori, leccornie di mare di un’orgia di colori, rosse aragoste, enormi mitili neri, ostriche succose, pesci e polipi, granchi e gamberi. Le pasticcerie offrono le specialità del Belgio per gli amanti del cacao, nelle vetrine s’ammirano cascatelle di cioccolata fusa in continuo movimento. Nei pub le famose birre di marca belga scorrono a fiumi. Gli abitanti di Bruxelles storcono il naso e sostengono che per la buona cucina e le buone bevute bisogna andare in altre zone della città. In effetti, osservando l’aspetto dei proprietari e dei camerieri dei locali, quasi tutti arabi, e gli avventori con l’aria sprovveduta dei turisti di massa, è probabile che in centro si mangi male e si spenda troppo. I belgi sorprendono per certe loro ingenuità e per la caparbia insistenza nel volersi solennemente distinguere fra fiamminghi e valloni. Il piccolo paese è sull’orlo di una drammatica spaccatura amministrativa, politica e razziale. Il bilinguismo che altrove è una ricchezza qui appare come un puntiglio ossessivo, a cominciare dai nomi delle città Bruxelles-Brussel, Bruges-Brugge, Gand-Gent, Anvers-Antwerpen. Il Belgio, come il resto d’Europa, rischia di non accorgersi del vero pericolo. La composizione della popolazione sta cambiando rapidamente, nuovi costumi s’impongono e poco a poco ci vengono imposti, perdono voce le campane e si fa finta di non sentire le litanie dei muezzin che s’insinuano nelle nostre vecchie strade. Un giornale satirico belga ha pubblicato una grande illustrazione della Grand’Place in versione prossima-futura. Si vedono i palazzi ricoperti di scritte in arabo, i pinnacoli dorati sostituiti da mezzelune, la folla in abbigliamento maghrebino. In un angolo una coppia d’aspetto tipicamente belga, in mano una bottiglia di birra e un cartoccio di patate fritte, si guarda intorno smarrita. Alcuni additano i malcapitati: “ …ma non vedi questi come stentano ad integrarsi?”. Un’araba velata, seduta sola in un bar del centro, digita freneticamente sul suo computer portatile, mentre sul marciapiede passa un clochard con due cani al guinzaglio. Gli animali indossano enormi occhiali da sole dalla montatura rossa e berretti di lana blu fatti all’uncinetto. Il Primo Ministro apre trionfante la sfilata del gay-pride, seguito da cinquantamila persone e vari carri allegorici come al carnevale di Viareggio. Fra la folla più donne che uomini, questi ultimi quasi tutti impettiti in giacca e cravatta e pochi vistosamente travestiti da donna. Molti hanno al seguito bimbetti sorridenti con palloncini multicolori. Sul piazzale della Gare Centrale da un’auto disastrata con il tettuccio sfondato sporgono a mo’ di monumento ultramoderno diversi paletti con segnali stradali. Bruxelles non smentisce mai la sua fama di città surrealista dove gli stili architettonici e di vita formano una folle miscela in netto contrasto con l’ordine grigio e rigido di una piovosa capitale nordica.