Tutte le nazioni del mondo hanno il loro inno nazionale. Spesso è anche la loro unica cosa degna di rispetto. Noi abbiamo l’Inno di Mameli che, nonostante lo sfacelo nel quale siamo piombati, ancora ci emoziona e ci mette sull’attenti. Ciò non toglie che, come tutte le cose umane, non abbia qualche difetto. Non essendoci ancora una legge che punisca le opinioni, qualcuno sottolinea una certa mediocrità melodica e qualche pesantezza retorica nel testo. L’Italia ha dato i natali a sommi musicisti ed è universalmente conosciuta come il paese del bel canto. Forse poteva essere più adatto il celebre “Va pensiero” verdiano, tuttavia considerato troppo aulico e riguardante le sofferenze del popolo più perseguitato della terra, sicché meriterebbe semmai di essere adottato come inno di Israele. Passando dalla musica alle parole, vedendo come siamo ridotti, non pare proprio che l’Italia si sia mai veramente destata. Dopo la caduta dell’impero romano ha recitato la parte della bella addormentata e vari principi l’hanno baciata per approfittare di lei. Prima i barbari, poi a turno francesi, spagnoli, arabi, normanni, borbonici e savoiardi, dimenticandone alcuni. Tuttora la nostra patria ci appare come una bella e languida bruna mediterranea e davvero non è il caso che nasconda la capigliatura cacciandosi in testa l’elmo di Scipio. Semmai la chioma, forse ossigenata, la lasciamo mettere in gioco alla Vittoria, ritenuta una cugina prima della Gloria, quella che baciando Napoleone face ingelosire molto la Giuseppina. Infine si afferma che gli italiani son pronti alla morte, ma quando l’Italia chiamò, anzi richiamò la maschia gioventù, dotata di divise estive e scarponi di cartapesta, pretese che conquistasse le pianure gelide della Russia oltre le rive della Beresina. Tutti sappiamo come finì e non è credibile che qui ci siano ancora aspiranti alla morte per assideramento. Ora, però, spente le ultime note altisonanti del nostro “Inno”, senza neppure un doveroso attimo di raccoglimento, qualcuno vorrebbe che si passasse di colpo ad una allegra canzonetta delle mondine e qui, rischiando l’ostracismo, non tutti siamo d’accordo. “Bella Ciao” è piacevole, ma a sua volta in un certo senso fuori tempo per parole e musica. Si dovrebbe notare anche una mancanza di rispetto verso la figura del partigiano. E’ un simbolo di impegno nel nobile e rischioso compito di collaborare alla liberazione sotto le ali dell’aviazione alleata, sicché è poco probabile che si impegni per portarsi via qualcuno. Semmai può fare proseliti con il suo esempio e il curriculum delle sue gesta, ma questo è cosa diversa dal portar via, anche di fronte a un volontario, specie se un ragazzo non ancora maggiorenne. Come nel “Mameli” in “Bella Ciao” c’è la retorica. Qualcuno si “desta”, non indossa l’elmo di Scipio, ma imbraccia il mitra e alla fine c’è la “morte”, però allietata da un “bel fior”. Ora i sondaggisti scoprano se esiste uno zero virgola due per cento di giovani disposti alla morte per una patria allargata, per non dire sbracata. Abbiamo le mondine trasformate in mondane e i ragazzi cresciuti a base di plasmon ed Erasmus come tanti “cocchi de mamma” Europa. Inoltre è improbabile che si presenti un “invasor” ad aggredire magari la Slovenia o il Lussemburgo. Insomma, l’abbinamento MM “Mameli-Mondine” non sembra un’idea molto felice nell’Italia della Unione Europea. Sanremo dimostra che siamo ormai un paese oltre che di cantastorie anche di cantautori. Si cerchi qualcuno che componga, parole e musica, un bell’inno nuovo: “Bella Italia Ciao”. Già fra i denti lo canticchiano molti cervelli giovani che fuggono all’estero dopo gli studi. Qui non cercano nemmeno più opportunità di lavoro. Londra è piena di laureati italiani in lettere e filosofia che fanno i camerieri, poi aprono la pizzeria la taglio e fanno sterline a palate. Un ingegnere, i cui studi sono costati un occhio della testa ai genitori e allo Stato, corre a Dubai a tirar su grattacieli, strapagato dagli emiri. Non parliamo di medici. I nostri sono ricercatissimi e gratificati in tutto il mondo, specie se specialisti. Strano ma vero, con voci fioche per l’età, intonano Bella Italia Ciao, molti pensionati. Hanno scoperto che, se con 1000 euro al mese si fa la fame in Calabria, giunti in Algarve e prendendo la residenza si sta benino. Le Canarie pullulano di ex metalmeccanici lombardi che con le consorti si comportano da coppie di nababbi. Pare persino che convenga con la pensione INPS non più decurtata dell’IRPEF, dire ciao al bel paese e andarsene nella tristazzuola Bulgaria. Bella Italia Ciao, ancor prima che qualcuno la componga, parole e musica, è già un’espressione che ripetono i turisti stranieri. Quelli che contano, poiché portano valute, ossia americani, inglesi, russi, giapponesi, cinesi e arabi, con la scarsità di decolli verso i nostri aeroporti e la confusione che trasmettiamo circa le restrizioni e le garanzie sanitarie, con grande rammarico, scelgono altri paesi per viaggi e vacanze. Invece, da certi barconi, appena all’orizzonte appare Lampedusa, è tutto un coro di Bella Italia Ciao. Questi visitatori sono colmi di gratitudine, perché li accogliamo con vitto, alloggio pagati e, ovviamente, non gravati dalla tassa di soggiorno. Del resto col tempo e a culle vuote loro si riveleranno davvero delle risorse. Povera Italia, speriamo almeno che si mantenga bella.
Umberto Mantaut