Qualcuno giudicherà la cosa stravagante, ma personalmente per fare ogni tanto un salto nella civiltà scelgo Barcellona. Bastano pochi giorni per “rifiatarsi”, come si dice a Roma. Non si parla tanto di aria pura, poiché anche a Barcellona il traffico è notevole, ma dal mare arriva sempre una brezza salutare e le parti portuali ultramoderne e balneari con una bella spiaggia detta Barceloneta offrono spazi di svago e relax. E’ l’atmosfera di questa metropoli unica nel suo genere in Europa per le sue scenografie urbane e le sue stranezze che affascina e rilassa. Basta citare la famosa Sagrada Familia, le case firmate da Gaudì, il ricco museo di Mirò e quello di Picasso, le alture del Tibidabo e del Montjuich dove la vista spazia e l’aria profuma di macchia mediterranea. Al centro dalla spettacolare Plaza Cataluña si può scendere fino alla costa passeggiando nelle famose Ramblas o immergersi nel lusso dei negozi e dei locali del bellissimo Paseo de Gracias. La mia prima volta in questi luoghi risale al maggio del 1953. La mia scuola gestita dal Comune di Torino aveva mezzi e ci consentiva di fare viaggi di istruzione mirati. Barcelona fu scelta per certe lezioni letterarie. L’insegnante di francese e la professoressa di lettere, fiorentina e purista della lingua, si è lanciarono in diatribe sulle differenze fra lingue e dialetti derivanti dagli antichi idiomi, noti come lingua d’oc e lingua d’oil. In Catalogna si notò che la lingua locale è molto simile al dialetto piemontese sicché è divertente dialogare con i barcellonesi, loro parlano in catalano e noi rispondiamo in torinese, comprendendoci perfettamente. Per molti aspetti, comunque, Barcelona è anche una città spagnola. All’epoca noi stavamo a fatica e con molti sacrifici risollevandoci dalle rovine della guerra, ci si muoveva in città su vecchi tram e filobus malconci. A Barcelona esisteva già una rete di metropolitane e l’esperienza di correre nei lunghi tunnel nelle viscere della città fu emozionante. Molto “iberica” fu l’esperienza della corrida che deve essere vista, ma basta una volta. Per noi è impressionante vedere alla fine trascinare il toro morto fuori dall’arena, lasciando una lunga e scura lingua di sangue. La Catalogna ha proibito questi spettacoli crudeli. Oggi, l’arena sulla grandiosa Plaza de España ospita un fantastico centro commerciale a più livelli. A Barcellona si torna di continuo. Ogni viaggio in Spagna prevede una tappa nella capitale catalana. Qui si giunge stanchi dopo lunghe ore in autostrada, qui s’imbarcano o si sbarcano le auto dai treni notturni o dai traghetti. Qui si cambia aereo nel gigantesco aeroporto situato nella zona meridionale della città. Barcellona è una città estremamente dinamica. Solo le zone monumentali, come il Barrio Gotico, rimangono in un certo senso immutate, nonostante i frequenti restauri migliorativi. I grandi quartieri e il porto cambiano aspetto ogni dieci anni, coinvolti in arditi progetti di riqualificazione, firmati da famosi architetti, mentre la città si dota di nuove infrastrutture avveniristiche. Con il tempo l’anima spagnola di Barcellona sbiadisce. Lo sciovinismo catalano tende a rifiutare la cultura e lo stile di vita iberici, preferendo modelli più nordici e un modernismo tutto particolare, ma la collocazione geografica, il clima mediterraneo e il carattere degli abitanti non potranno mai trasformare la splendida città marinara in una brutta copia di Parigi o di New York. Non è azzardato sostenere che Barcellona è andata oltre, perché qui si è badato a migliorare la qualità della vita, mentre altrove con la pretesa di “progredire” si è complicata la vita dei cittadini. Da noi questa forma di cancro si chiama burocrazia. Pur essendosi trasformata in una metropoli enorme, si potrebbe aggettivare Barcelona come una città snella. Nell’apparente elefantiasi di strutture e sovrastrutture ci si muove agevolmente senza disguidi e con servizi puntuali a livelli di meticolosità. Qui, tanto per fare un esempio, nessuno armeggia nella borsa alla ricerca di documenti o contanti, anche per un caffè si usa la carta di credito e, incredibile a dirsi, pure per pagare una corsa in autobus. Per la verità abituati a pagare a Roma € 1,50 per bus che non passano mai e per una metro striminzita, a Barcelona una corsa semplice costa € 2,40, ma poi si scopre che l’efficienza merita il sacrificio. Dopo otto corse da € 2,40 pagate con la “tarjeta de credito” scopriamo che ci addebitano € 160.00, venti euro per volta. La compagnia TMB spiega molto cortesemente che si tratta solo di una cauzione, poi la nostra banca addebiterà il giusto e la cauzione sarà annullata. Esta preautorización no es un cargo sino un bloqueo de saldo hasta que se confirma la operación y que, normalmente, tarda unos días. Por lo tanto, pasados estos días se te desbloquea el importe retenido y se te cobra el importe de los viajes realizados. Aggiungiamo però che le banche estere tardano “mucho” a regolare il pagamento, da noi si potrebbe trattare di 30 giorni, Pazienza, siamo abituati a cose ben peggiori, basta pensare a come ci trattano in caso di multe, bollette pazze e altre italiche diavolerie. L’Alitalia, gloriosa specie per aver ingoiato miliardi di denaro pubblico, ha perso le ali, si chiama ITA e ha conservato i vizietti. Per concludere a Fiumicino su due colli imbarcati ne è arrivato uno solo. Lungaggini per il reclamo e dopo vari giorni ancora un inquietante silenzio. Come altre volte bisognerà rassegnarsi. E’ brutto e stucchevole ripeterlo, ma “siamo in Italia”.
Umberto Mantaut