Chi ha assistito una volta nella vita all’uccisione e alla macellazione di un maiale si porta un complesso di colpa ogni volta che ordina quel piatto estivo fresco a base di prosciutto e melone. Maiale non è un temine offensivo, indica un animale pulito e intelligente. Quando un suino è condotto al macello si rende perfettamente conto di ciò che lo attende, grida e piange come un bambino percosso e i suoi occhietti cisposi implorano pietà e lacrimano. Il norcino ha il cuore duro come le rocce umbre della terra natia. Sgozza l’animale, lo squarta, lo seziona. La povera bestia ha il pregio di essere appetibile in tutte le sue parti, dalla testina agli zamponi, dalla cotenna alle braciole, ma i tagli più pregiati si ricavano dalla spalla e dalla coscia. La considerazione del maiale nel mondo varia molto da un continente all’altro e da un popolo all’altro. A Parma o a San Daniele, patrie dei migliori prosciutti, gli farebbero un monumento. Un arabo musulmano avvertendo il profumo di una mortadella si sentirebbe venir meno dall’orrore. A Sumatra nei villaggi i bimbi giocano con i lattonzoli e un bel suino adulto fa parte della famiglia come animale da compagnia, mentre da certe orrende gabbie dei poveri cani sono all’ingrasso, poiché cucinati alla cacciatora sono ritenuti una leccornia. Gli animalisti sono “bestie” strane. Sono giustamente capaci di far arrestare un bruto che maltratta i gatti e arrivano a far deviare il tracciato di un’autostrada se si rischia di eliminare uno stagno dove si riproduce un certo tipo di ranocchia. Invece, sembra che facciano finta di non sapere che esistono macchinari crudeli che sgozzano e spennano milioni di polli da rosticceria al giorno, che la fettina di vitella narra una storia di sofferenze, che per gli agnelli la Pasqua è una data infausta, come il Natale per i tacchini. Nessuno ha mai notato come muoiono le trote su una griglia metallica attraversata da corrente ad alta tensione, per non parlare delle aragoste cotte vive in acqua bollente. L’uomo non è onnivoro, non mangia solo insalatina e cereali, da sempre si nutre di carni e un tempo e presso certi popoli vigeva pure il cannibalismo. Un indigeno di etnia batak sull’isoletta di Samosir in Indonesia mi ha dichiarato che il suo popolo è caduto in basso da quando mangia bistecche di bufalo al posto della fiorentina di natica di missionario olandese, carne bianca molto digeribile e nutriente, anche per lo spirito. Insomma, siamo o non siamo esseri viventi crudeli crudeli? Ora, l’Urbe, un tempo Caput Mundi, divenuta la capitale europea campionessa nella lunga conservazione in strada dei rifiuti, è invasa da torme di cinghiali. Sono assai rispettati. Il traffico si ferma se una famiglia cinghialesca attraversa fuori dalle strisce. Davanti il maschio con zanne eloquenti, dietro la signora in pelliccia marrone e una decina di cuccioli, tanto carini. Guai a parlare di aprire una campagna di rastrellamento e soppressione, sia pure con anestesia totale, dei simpatici quadrupedi. Forse attendiamo che oltre a strappare di mano le buste della spesa alle massaie, i pelosi ospiti dei quartieri romani sbranino un ragazzino incauto che va in bicicletta o una ragazza che fa ginnastica mattutina nel parco di fronte a casa? E, anche così, c’è da giurarci, troverebbero mille attenuanti per l’assassino, poveretto spinto dalla fame e dalla mancanza di educazione cristiana. Dopo una mite condanna agli arresti domiciliari nel bosco di Monte Mario al povero profugo venuto dalla macchia dove scarseggiano le ghiande, si offrirà un lavoro a tempo indeterminato nella azienda che si occupa di smaltimento dei rifiuti organici. Peccato che per cartacce plastica non esista specie animale protetta da assumere per rendere Roma più vivibile, solo per loro naturalmente.
Umberto Mantaut