Che un braccio di mare con l’aspetto di canale navigabile possa essere considerato un patrimonio dell’umanità sembra alquanto curioso, ma dal 30 gennaio del 2012 l’UNESCO ha inserito nel suo lungo elenco di siti protetti il Khor Dubai. Bisogna vederlo e percorrerlo in crociera acquatica per comprendere la sua importanza e godere dello spettacolare scenario di una delle città più giovani e straordinarie del mondo. Dubai è divisa dal canale in due realtà urbanistiche distinte, Bur Dubai e Deira, entrambe irte di fantastici edifici lungo i 14 km del percorso che dal Golfo Persico raggiunge il santuario di Ras Al-Khor. A Dubai non si va certo per ammirare edifici antichi. Il sito era un insignificante tratto del deserto affacciato sul mare, ma sotto quelle sabbie nel non vasto ma importantissimo entroterra degli Emirati si celava l’immensa ricchezza non inesauribile dei giacimenti petroliferi. Le tribù arabe e i loro emiri, messi da parte antichissimi dissidi, fiutati i profitti e con lungimiranza hanno quasi dal nulla creato una nazione unita, oggi fra le più ricche del mondo. Le città principali degli Emirati Arabi Uniti sono una più straordinaria dell’altra, ma di certo Dubai, pur se la capitale è Abou Dhabi, impressiona molto di più, non solo per il canale protetto dall’UNESCO, ma anche per molti aspetti urbanistici ed architettonici. In arabo Abu Dhabi significa “il padre della gazzella”, toponimo legato a vecchie leggende dei popoli del deserto. La città ha avuto effettivamente un genitore in un essere umano ed è nata da poco per la geniale intuizione dello sceicco Zayed, il padre di questa strana patria chiamata Emirati Arabi Uniti, di cui Abu Dhabi è la strabiliante capitale. Meno di cinquanta anni fa, qui esistevano soltanto un vecchio forte, un misero mercato di dromedari e un minuscolo villaggio di catapecchie di pescatori di perle; il tutto su una vasta isola vicina alla costa sudorientale del Golfo Persico. Zayed era il signore di questi luoghi in un desolante deserto che solo da poco aveva svelato l’esistenza di un immenso tesoro, un giacimento enorme di oro nero sotto le sabbie e sui fondali marini del golfo. Lo sceicco, pur essendo poco istruito e non influenzato da mentalità occidentale, ebbe la geniale idea di convincere le tribù del deserto, controllate da altri sei emiri, a creare dal nulla uno stato unitario di tipo federale, destinato a divenire una potenza economica mondiale. L’Emirato di Zayed era il più vasto e potente reame della regione, sicché alcuni emiri, meno ricchi e con territori esigui a disposizione, all’inizio diffidarono, temendo di essere fagocitati da Abu Dhabi, ma ben presto furono evidenti i risultati economici e politici della unione. Zayed seppe assicurare a tutti una equa spartizione dei vantaggi. Gli Emirati Arabi Uniti sono oggi una potenza mondiale in grado di influenzare i mercati del petrolio e le borse asiatiche e occidentali. Qualcuno ha già fiutato i rischi connessi all’esaurimento dei giacimenti di idrocarburi e si affretta a sviluppare il turismo e ad acquisire partecipazioni importanti in tutte le grandi imprese del mondo, oltre ai massicci investimenti immobiliari internazionali e allo sviluppo dei commerci. Il 2 dicembre del 1971 fu firmato il Trattato dell’Unione e da quel giorno Abu Dhabi emerse dalle sabbie di un deserto inospitale per svilupparsi come un drago urbano dilagando in lungo e in largo e soprattutto in alto con la sua selva di grattacieli, come una megalopoli americana. A differenza dalle altre città verticali del mondo, Abu Dhabi non ha periferie misere. Nonostante la velocità impressionante del suo sviluppo urbano, sembra che in questa metropoli nulla sia stato lasciato al caso. Zayed volle dotarla di una “corniche” di dieci chilometri sul mare, più sontuosa della Promenade des Anglais. Ad Abu Dhabi furono pianificati tre grandi centri a sviluppo verticale uniti e solcati da un sistema razionale di grandi arterie di scorrimento, dotate di magnifiche aiuole fiorite, viali di palme e piante ornamentali pregiate. Qui piove mediamente solo per due giorni ogni anno e in estate non si può uscire di giorno a 50° centigradi, tanto che la madri portano i bimbi a giocare nei parchi dopo le dieci di sera. Eppure la vegetazione vive irrigata da acque dissalate attraverso grandi impianti che pompano dal mare. A parte il traffico della grande città, non ci sono altre fonti di inquinamento, ma la foschia si deve spesso al pulviscolo sollevato dal vento del deserto che dista solo 250 metri dall’isola sulla quale insiste la capitale, con al centro la grande Piazza dell’Unione.
Nella vicina Dubai, il Burj Khalifa svetta come la guglia principale di una cattedrale sorta nel deserto con i mille pinnacoli dei grattacieli che la circondano al centro della città più popolosa degli Emirati Arabi Uniti. Si tratta fino ad oggi dell’edificio umano più alto del mondo con i suoi vertiginosi 174 piani e gli 828 metri di altezza. Ci portano al 124mo piano con un avveniristico ascensore che impiega solo 30 secondi allietati da musica e filmato. La vista sulla città è impressionante, non solo perché questo centro urbano appare più bello e moderno di Manhattan, Shanghai o Singapore, ma anche per lo spettacolo dei tentacolari svincoli autostradali delle arterie che solcano il centro e i territori periferici della città, di aspetto policentrico. Ai piedi del Burj Khalifa s’allarga uno specchio d’acqua affollato da costosissimi panfili ed è stato realizzato il centro commerciale più grande del mondo, il Dubai Mall, con le boutique dei più famosi stilisti, molti dei quali italiani, grandi gioiellerie, negozi di ogni tipo, luoghi di ritrovo, un fantastico acquario e mille attrazioni su grandi spazi e più livelli. La metropolitana di Dubai, sopraelevata in gran parte, presenta stazioni dall’aspetto di cattedrali moderne, evidentemente firmate da architetti di fama mondiale. I treni corrono velocissimi senza guidatore, tutti automatici, come pure i tram avveniristici. Si corre per oltre 15 chilometri ed ecco svettare come per magia il quartiere più elegante della metropoli, Dubai Marina, con attrezzature balneari e una concentrazione di grattacieli da fare impallidire la mediterranea Benidorm. A Dubai Marina la ostentazione della ricchezza degli Emirati raggiunge limiti insensati, come negli hotel La Vela e L’Onda, dove si spendono fino a 15.000 dollari a notte per una suite, colazione esclusa. Dubai nei dialetti locali significa strisciare oppure lucertola o cavalletta, parole modeste che ricordano che questa città fantastica meno di mezzo secolo fa era una landa desertica desolata che offriva vita stentata a piccoli animali e uomini laceri in groppa a dromedari. Oggi è difficile vedere un’automobile utilitaria di piccola cilindrata. Tutti si spostano su auto di lusso e qui, a differenza dell’Arabia Saudita, si vedono donne musulmane al volante, naturalmente velate, secondo la tradizione. Fra Dubai e Abu Dhabi corre un’autostrada a cinque corsie per ogni direzione di marcia. Per circa due ore un fiume di veicoli disciplinati alla uniforme velocità di 120 km/ora attraversa un’area quasi completamente urbanizzata, tanto che in un prossimo futuro le due metropoli formeranno un’unica gigantesca conurbazione. Il candore delle costruzioni è accecante. L’autovia è completamente rischiarata di notte con lampioni illuminati anche lungo i pali. Spesso fra le case dei quartieri attraversati spiccano le cupole bianche delle moschee con i quattro minareti illuminati da luci verdi o blu. Per brevi tratti si attraversa ancora il deserto piatto e inospitale, sotto il quale si nasconde la fonte di tanta ricchezza. Alla domanda “vivresti volentieri negli Emirati” risponderei “no grazie”. Un europeo non giovane si confronta a disagio con certe realtà postmoderne e un consumismo sfrenato, calati all’improvviso in una società con mentalità e religione medievali. Vedere Dubai e Abu Dhabi vale la pena. Tornarci forse non vale il viaggio.
Umberto Mantaut